Il nostro grande Cesare Pavese espresse in una sintesi straordinaria l’entusiasmo dell’inizio: “vivere è cominciare”, scrisse, geniale espressione che condensa quanto gli inizi di ogni umana avventura siano di norma densi di attesa, di desideri, di progetti positivi.

Non così il nostro anno scolastico. Proprio nell’ambiente in cui accoglienza, progettazione, desiderio, dovrebbero costituire il centro dell’esperienza didattica ed educativa, il core business dell’istituzione, proprio qui – quest’anno più di sempre – prevalgono meccanismi di rigida burocrazia che contraddicono fortemente il senso dell’avvio dell’anno scolastico.



Si parla di scuola di Stato. Ma non si tratta di affrontare il tema dal punto di vista politico. Spesso a dire il vero i governi, in politica scolastica, si sono trovati a dover perfezionare procedure già promosse da chi li aveva preceduti. Si tratta di segnalare il clamoroso delta fra la “macchina” e i bisogni culturali ed educativi dei nostri bambini e ragazzi e i bisogni professionali dei docenti giovani e meno giovani.



Genitori o appassionati di educazione come sono molti tra i lettori del Sussidiario hanno ben in mente, come si accennava all’inizio, le emozioni dell’inizio della scuola; i più, ben conoscono anche gli aspetti più tecnici della ripartenza, la tensione dei genitori che si trovano ad organizzare l’anno che sopraggiunge, i docenti, i migliori, in attesa di poter proporre ai propri alunni percorsi immaginati (e approfonditi) durante il periodo estivo.

Molto di questo non è dato di sperimentare quest’anno.

In un articolo comparso il 19 settembre sul Corriere della Sera, a cura di Milena Gabanelli, è stato dato ampio risalto al meccanismo “bizantino” dell’arruolamento, ulteriormente irrigidito dai vincoli del PNRR. Il ministro ha risposto sottolineando la correttezza della procedura, ma senza poter negare complessità e incongruenze.



Ci permettiamo di segnalare tre situazioni purtroppo esemplari che dicono dello scollamento fra scuola e vita, proprio in un momento in cui l’emergenza educativa si esprime con maggior virulenza.

In primis il carico di lavoro che i dirigenti scolastici si stanno sobbarcando per garantire, non l’avvio (ormai ampiamente superato), ma almeno la regolarità del primo periodo. Un lavoro che fino a poco fa era più o meno regolarmente gestito dalle segreterie ora grava pesantemente sulla figura del dirigente scolastico. La nomina dei supplenti, oggi ginepraio complicatissimo, presenta costantemente rischi di ricorso e viene altrettanto frequentemente contraddetto da normative in costante evoluzione.

Il leader educativo, garante della realizzazione dell’offerta formativa, promotore di iniziative culturali in relazione costante con territorio, università, enti di ricerca, è ridotto ad affannato burocrate, ossessionato dal rischio di errore.

Quanti genitori potranno incontrarlo, quanti studenti esprimergli sogni e ansie, quanti docenti avranno in lui o lei un punto di riferimento per affrontare l’avventura quotidiana? Temo nessuno. Oltretutto, nell’attesa dell’espletamento delle procedure del concorso ordinario per dirigenti, è molto probabile che si assista a breve a numerosi cambiamenti di dirigente, nelle scuole attualmente in reggenza.

Mi permetto, nel rispetto dell’anonimato, di segnalare altri due esempi in cui è palese il malfunzionamento del sistema. E si tratta purtroppo di episodi diffusi!

Docente X, da vent’anni nella scuola ad insegnare materie letterarie (segnatamente italiano, storia e geografia), “scaraventata” dall’oggi al domani in un altro istituto scolastico ad insegnare arte. Da tempo si accenna al problema della corrispondenza fra titoli di studio e classi di concorso, ma così non può funzionare. Disagio per tutti ed inevitabilmente scarso successo formativo per alunni affidati a un docente che da anni non “mastica” più la disciplina che si troverà ad insegnare.

Il caso più grave: quello dei genitori di una bimba affetta da grave disabilità, con un’ulteriore emergenza sanitaria in famiglia, che ricevono la telefonata della scuola dell’infanzia presso cui la bimba è iscritta, telefonata in cui viene comunicato che l’inserimento sarà effettuato in seguito, in data imprecisata, per l’assenza del docente di sostegno. Quest’anno infatti le cattedre di sostegno sono fra quelle più a rischio di cambiamenti nel corso dell’anno.

Tre esempi di disfunzioni enormi della scuola statale, a fronte, come si sottolineava, di un acuirsi del bisogno educativo, della difficoltà delle famiglie a scegliere per ragioni economiche la scuola non statale.

In cauda venenum: chi mai, fra i giovani laureati di eccellenza, di cui le nostre scuole avrebbero enormemente bisogno, potrebbe decidere di spendersi in un modello di arruolamento tanto farraginoso?

Inutile aggiungere che in altri Paesi le cose funzionano meglio. Basterebbe far tesoro dell’esperienza altrui, ripensare il meccanismo dell’arruolamento così come la funzione e la retribuzione di chi sovrintende la direzione dei servizi generali amministrativi e porre al centro il successo formativo degli studenti, in particolare coloro con bisogni speciali.

Si è parlato prioritariamente della scuola statale, ma questo meccanismo ha ripercussioni anche sulle paritarie, se non altro per il rischio costante di un organico dei docenti destabilizzato dalla tempistica delle nomine delle scuole statali.

Un ultimo modesto suggerimento e un auspicio: per vivere e far vivere l’inizio dell’anno scolastico in un clima, se non sereno, almeno sufficientemente efficiente, le operazioni relative al collocamento dei docenti siano svolte nel periodo estivo, non a settembre inoltrato.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI