Milton Friedman, Premio Nobel per l’Economia nel 1976, amava ripetere che “non esistono pasti gratis”, ovvero che ogni scelta implica un costo opportunità: scegliere una cosa significa rinunciare ad un’altra e quindi sostenere un costo. L’economia politica è la scienza che aiuta gli uomini a scegliere in modo razionale come distribuire le scarse risorse esistenti. Vale anche ai tempi del coronavirus quando qualcuno potrebbe illudersi che la sospensione delle rigide norme europee consenta un indebitamento illimitato. No, le risorse restano scarse ed è doveroso impiegarle bene.



Tra le polemiche suscitate dalla recente approvazione del decreto Rilancio c’è quella che riguarda la ripartizione dei (limitati) fondi riservati alla scuola. È giusto destinarli anche alle paritarie?

Nei giorni scorsi, il quotidiano la Repubblica ha ospitato due articoli di segno opposto: uno di Corrado Augias, in sostanziale difesa del primato della scuola pubblica, l’altro di Alessandro de Nicola, in sostanziale difesa della “equipollenza” delle scuole paritarie. Al centro della disputa, il controverso terzo comma dell’art. 33 della Costituzione, che così recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.



Chi ha ragione?

Vedremo rapidamente la tesi di Augias, quella di de Nicola e l’interpretazione dell’emendamento “senza oneri per lo Stato” data in Assemblea Costituente dal suo stesso proponente: Epicarmo Corbino.

La tesi di Augias, esposta nell’articolo pubblicato da Repubblica il 20 maggio, è riassunta nel titolo: “Prima la scuola pubblica”. L’autore afferma che il dettato costituzionale non è stato mai realmente attuato e che le scuole paritarie, che pure svolgono una “azione benemerita”, hanno goduto nel tempo di varie sovvenzioni pubbliche. Riconosce anche che sia giusto, in questa straordinaria emergenza, aiutare tutti: dagli avvocati alle scuole paritarie. Ma dev’essere un intervento temporaneo ed eccezionale. Quello che non si può fare è approfittare dell’emergenza sanitaria per ignorare il principio costituzionale che riconosce l’esistenza delle scuole private, ma “senza oneri per lo Stato”.



Scrive il giornalista: “Gli istituti paritari, se organizzati seriamente, possono svolgere un’azione benemerita ma l’aiuto dello Stato non può che avere carattere temporaneo. Il che è molto diverso dal tentativo di cogliere la drammatica situazione sanitaria per strappare un riconoscimento permanente. Le norme della Costituzione, soprattutto quando riguardano principi di fondo, possono essere interpretate in maniera benevolmente estensiva ma in nessun caso possono essere ignorate”.

Il 16 maggio, sempre su Repubblica, Alessandro de Nicola aveva sostenuto una tesi diversa: lo Stato, riconoscendo la funzione pubblica delle scuole paritarie e il diritto all’istruzione gratuita di tutti i cittadini, dovrebbe mettere le famiglie in condizione di poter scegliere liberamente le scuole (statali o paritarie) in cui iscrivere i loro figli. Di più, il fallimento delle scuole paritarie (e oggi lo rischia il 30 per cento di quelle esistenti) determinerebbe, questo sì, “maggiori oneri per lo Stato”. Infatti, il costo medio annuale di un alunno nel sistema pubblico è pari a 6.000 euro mentre il contributo medio (diretto e indiretto) che lo Stato eroga per ogni studente delle scuole paritarie è di circa 750 euro (con una differenza di 5.250 euro pro capite). Se un terzo dei circa 866mila studenti che oggi frequentano le scuole paritarie dovesse essere costretto, causa fallimento di quelle scuole, ad iscriversi in istituti statali, il “maggior onere per lo Stato” sarebbe pari a circa 1 miliardo e 522 milioni di euro (5.250 euro per 290 mila studenti).

Scrive l’economista liberale: “qui non si tratta di reclamare sussidi per aziende private, ma parità di trattamento tra le persone. Se le scuole paritarie, come dice la legge stessa, svolgono un servizio pubblico e lo Stato assicura l’istruzione gratuita ai cittadini, il governo deve mettere in condizione le famiglie di poter scegliere anche istituti privati purché non a costi superiori di quanto costi frequentare quelli pubblici. Persino la laica e socialdemocratica Svezia, ove vige una sostanziale parità tra pubblico e privato, l’ha capito. Servizio pubblico non vuol dire monopolio statale: anzi, una competizione tra modelli educativi, rispettando le linee guida fondamentali nazionali, è virtuosa”.

Il tema suscitò un ampio dibattito anche in Assemblea Costituente, soprattutto nella seduta plenaria del 29 aprile 1947. Dossetti chiarì che con l’espressione “equipollenza di trattamento scolastico”, inserita poi nel quarto comma dell’articolo 33, ci si riferiva alla “equivalenza a tutti gli effetti giuridici della carriera e dei titoli scolastici degli alunni delle scuole non statali di fronte a quelle delle scuole statali senza … la necessità di un obbligo finanziario a carico dello Stato” (p. 3370).

Obbligo o divieto? Il liberale Corbino, insieme ad altri, propose di aggiungere alla fine del terzo comma la seguente frase: “senza oneri per lo Stato”. Subito intervenne il democristiano Gronchi per esprimere la preoccupazione che quella frase potesse significare un esplicito divieto. Ecco la chiarificazione di Corbino: “Vorrei chiarire brevemente il mio pensiero. Forse, da quello che avevo in animo di dire, il collega Gronchi avrebbe capito che le sue preoccupazioni sono infondate. Perché noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare” (p. 3378).

Chi ha ragione, dunque? Per rispondere occorre tornare alla Costituzione e all’interpretazione di quel “senza oneri per lo Stato” data da colui che propose l’emendamento: Corbino. Le scuole private non possono sorgere col preventivo diritto al finanziamento pubblico. Non c’è né un obbligo né un divieto costituzionale, mentre rimane il dovere dello Stato di garantire il diritto all’istruzione obbligatoria gratuita a tutti i cittadini (art. 34) e di tutelare la libertà di educazione delle famiglie (art. 30). Le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e quindi lo Stato non deve avere alcuna remora a sostenerle. Augias riconosce che oggi è necessario aiutare anche le scuole paritarie e de Nicola aggiunge che il costo del loro fallimento si scaricherebbe sulle spalle dello Stato.

Friedman ripeteva che non esistono pasti gratis e che ogni scelta implica un costo. Decidere di sostenere sia le scuole statali che quelle paritarie è sempre una scelta razionale che risponde all’interesse economico e alle funzioni istituzionali dello Stato italiano.