L’autovalutazione è un processo che si sviluppa su diversi piani ed è unitario nella sua dinamica sia quando l’oggetto della valutazione è l’istituto o il docente, sia quando riguarda lo studente. Consiste nel fare il punto e nello stesso tempo nel controllare quello che si sta facendo e nel riflettere su quanto accade, è accaduto e potrebbe accadere nell’avventura della conoscenza. È consapevolezza delle proprie risorse e/o delle proprie carenze, delle proprie possibilità e dei propri limiti.
Si realizza, dal punto di vista dell’alunno, come riflessione sull’esperienza di apprendimento e di studio, assunzione “docile” dei parametri valutativi condivisi. È, in altre parole, figlia della valutazione formativa: facilita, sostiene, insegna e non misura, punta sulla sensatezza più che sull’esattezza, non “conta”, come vedremo fra poco.
Fornisce indicazioni sul cammino da percorrere, su ciò a cui porre attenzione, sugli strumenti da costruire e da usare, sulla gerarchia ed orizzonte delle conoscenze, sulle procedure e strategie dell’apprendimento, sulle probabilità di successo (più o meno immediato), sull’autostima e sull’autoefficacia.
Nemici, amici
Nemici dell’autovalutazione sono: la riduzione del procedimento valutativo all’assegnazione del voto, l’uso acritico delle prove, il ricorso a criteri predefiniti da estranei al lavoro svolto in classe, l’uso delle verifiche come premi-castighi, come obblighi istituzionali da subire. Nemica è la stessa autovalutazione quando è pensata, proposta e gestita come valutazione impressionistica, ridotta ad una specie di gioco di faccine e simili; un gesto pseudo-democratico come reazione negativa alla cosiddetta “valutazione calata dall’alto della cattedra”; un uso indiscriminato di questionari generici ed improvvisati.
Giova, invece, il dialogo critico ed argomentativo con il docente, il confronto “emulativo” con i compagni, il riscontro costante o feedback qualitativo nello svolgimento delle attività; il rispetto per gli stili di apprendimento; l’uso sistematico (non burocratico) del portfolio; la pratica della “riflessione parlata” nello specifico di ogni disciplina, la correzione come forma continua di apprendimento, la pratica della personalizzazione.
Approcci nel tempo
A partire dagli anni 40 del secolo scorso l’autovalutazione consiste in un confronto tra valutazione del profitto espressa dagli studenti e quella fornita dagli insegnanti. Viene provocata da domande del tipo: “Il voto del docente concorda con quello dell’alunno? La valutazione data dall’insegnante è più bassa o più elevata?” L’analisi delle risposte a queste domande evidenzia una differenza di comportamento tra studenti e docenti. Gli studenti, in genere, propendono ad esprimere su sé stessi valutazioni inferiori e più settoriali rispetto a quelle che danno gli insegnanti. È l’ approccio quantitativo.
Dagli anni 70-90 si afferma l’approccio metacognitivo. La metacognizione è consapevolezza, autoregolazione e controllo del lavoro cognitivo e mentale. È capacità di pianificare il compito, di monitorare le procedure, di giudicare l’apprendimento (conoscenze, abilità, atteggiamenti), di riflettere criticamente, in un continuum in cui lo studente può registrare man mano i propri progetti, progressi e comprendere che oggetto e fine della valutazione è l’apprendimento significativo ed autonomo.
In altri termini, non possiamo più semplicemente parlare di valutazione del, ma per l’apprendimento. Si spiega così il fatto che nelle scuole sempre più fanno capolino e vengono valorizzate le buone pratiche (approccio pragmatico qualitativo) che tengono conto delle categorie culturali degli studenti (ad esempio, dell’idea che essi hanno dei processi dell’apprendimento, dello studio, della valutazione); del loro coinvolgimento nel definire i criteri di valutazione, nel preparare prove e rubriche valutative; nel cogliere ed accettare il dato, nel confrontarsi con compagni e docente, a prendere delle decisioni, nel lavoro personale e comune.
Un esempio in quattro tappe
Un itinerario esemplare per insegnare ed imparare ad autovalutarsi prevede quattro tappe è il seguente.
1. Specificare gli obiettivi (traguardi) e coinvolgere in modo esplicito, graduale, adeguato gli studenti nella definizione dei criteri ( personali e comuni) che saranno usati per valutare le loro prestazioni.
2. Far vedere agli studenti come applicare i criteri nel loro lavoro. Per ogni singolo obiettivo e criterio bisogna definire il modo di procedere che verrà tendenzialmente utilizzato per ottenere risultati positivi.
3. Lasciare spazio a feedback (conversazioni) sia da parte dei compagni (peer assessment), sia da parte dell’insegnante.
4. Guidare ed accompagnare gli studenti nello sviluppo autoregolato di obiettivi e di piani d’azione evitando lo spreco dei dati dell’autovalutazione e focalizzando l’attenzione su domande del tipo: “I traguardi sono stati raggiunti in modo soddisfacente? Quali ulteriori passi? Come procedere?”.
Questo, come altri percorsi, è praticabile nella misura in cui c’è consapevolezza crescente dei benefici dell’autovalutazione sia per lo studente sia per il docente.
Utili alcuni strumenti: le schede, le griglie, le mappe, i questionari, liste di controllo, ecc. che aiutano a “fare il punto” sulle attività svolte. Fondamentale è la costruzione in itinere del portfolio (diario di bordo) per raccogliere informazioni (“Cosa imparo”), per documentare i passi, per riflettere sulle modalità (“Come imparo”), per percorsi (da solo, in classe, recupero), per organizzare il tempo e promuovere la motivazione, la gioia dell’apprendere.
Nella sua autenticità la pratica dell’autovalutazione è espressione e strumento di crescita dell’autocoscienza, esercizio della ragione e sviluppo della capacità di giudizio. Non dà i “numeri”: non perde la testa, non smarrisce lo scopo. “Conta”, perché vale in sé come segno efficace della valutazione stessa, come condizione dell’imparare e del conoscere. E “conta” senza aver bisogno di ricorrere a scale competitive.
(3 – continua)
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