Che il M5s non abbia grande simpatia per le autonomie in genere è risaputo, sia che si tratti di autonomie regionali che di autonomia scolastica. La natura statalista del Movimento ha avuto modo in questi anni di manifestarsi regolarmente, anche rispetto a quel tipo di autonomia costituita dalle scuole pubbliche non statali. Quindi il ministro Azzolina, come rappresentante dei 5 Stelle, non dice nulla di nuovo nel ribadire che “gli insegnanti non vanno reclutati dalle Regioni perché sono dipendenti dello Stato e quindi vanno reclutati a livello nazionale”.



Tuttavia la dichiarazione di ieri lascia perplessi per diversi motivi. Salvo che il giornalista che l’ha raccolta l’abbia deformata: ma in fatto di politica è troppo facile prendersela con i giornalisti. Talmente varia, imprevista e balzana è la congerie di manifestazioni alle quali i politici nostrani ci hanno abituati negli ultimi anni. Per non parlare di quanti ministri sono cambiati in Viale Trastevere!



Innanzitutto lascia perplessi il fatto che il ministro dimentichi che le Regioni (Costituzione, art. 114) con i Comuni e le Province costituiscono lo Stato. La stessa organizzazione attuale del reclutamento di insegnanti e dirigenti scolastici ne decentra l’attuazione ai livelli regionali. E, a dire il vero, non si può certo dire che sia funzionato meglio delle procedure accentrate. Ma il ministro intende opporsi alle proposte di autonomia differenziata presentate da alcune Regioni, quindi all’ipotesi che i docenti diventino dipendenti regionali. E si oppone sostenendo la condizione di dipendente statale nella scuola. È lo stesso motivo sostenuto dai sindacati da sempre.



Lascia perplessi poi, il ministro, anche perché, con la sua dichiarazione, emargina totalmente il grave problema (ultradecennale) degli spostamenti nazionali, da Sud a Nord e viceversa, dei docenti dipendenti statali. Ribadire l’immutabile reclutamento statale centralizzato resta, inevitabilmente, un po’ come mettere la testa sotto la sabbia anche su questo problema e non voler vedere le gravi conseguenze che da decenni questo comporta sulla didattica e la qualità della scuola.

Sono decenni che assistiamo all’inefficienza dello Stato centralizzato: concorsi mastodontici che non arrivano mai; quando arrivano, non coprono il fabbisogno reale della scuola statale (siamo arrivati a 200mila posti precari non coperti); concorsi che non sono in grado, da decenni e in alcun modo, di garantire un regolare avvio dell’anno scolastico; che non sono in grado di selezionare una preparazione adeguata alle singole realtà scolastiche ed alla loro offerta formativa. Ci aveva provato timidamente la “Buona Scuola” con la possibilità della chiamata diretta, per un incontro tra esigenze formative della scuola e competenze dei docenti richiedenti. Ma l’opposizione del blocco conservatore sindacal-amministrativo ha vanificato questa piccola novità.

“Nel decreto scuola abbiamo pensato a una norma che dà ragione della continuità didattica. È stato previsto che bisogna restare in quel posto almeno 5 anni” sostiene poi il ministro. Peccato che omette di dire che quest’obbligo (art. 1, comma 17-octies, legge 159/2019) varrà in futuro solo per i docenti che verranno assunti in ruolo con i concorsi ancora da bandire, oppure i docenti assunti all’1 settembre 19 (sono solo 25mila su 800mila). Ma anche su questi non c’è certezza, perché il contratto sulla mobilità che uscirà a febbraio potrebbe introdurre le solite “eccezioni”. Quindi a settembre 2020 non cambia nulla dei tragicomici caroselli di docenti cui siamo abituati da decenni. 

L’uscita che, alla fine, lascia più perplessi la leggiamo quando il ministro sostiene che “le scuole sono già dotate di autonomia”. Il ministro sa bene che tale autonomia è limitatissima, riguarda solo la didattica e pochi aspetti della sua organizzazione: non riguarda certo il reclutamento, che il ministro appunto vuole rigidamente centralizzato e statale. E così sarà per i concorsi che dovrebbero essere banditi (il condizionale è d’obbligo nella scuola statale!).

A quando la vera autonomia alle scuole? Così come l’hanno i comuni, gli ospedali, le camere di commercio, le università. Sarebbe l’unica vera rivoluzione culturale, prima che organizzativa che, tra gli altri, avrebbe l’effetto di dare stabilità al servizio degli insegnanti nelle scuole.

Per ora sogniamo. Però almeno diciamo la verità.