Ho già mostrato quest’anno in due interviste alla maestra Patrizia Carrucciu (reperibili qui e qui) come sia possibile nella scuola primaria introdurre i bambini della prima classe ai numeri naturali e alle prime operazioni attraverso il gioco e attraverso semplici situazioni problematiche che sorgono nella vita quotidiana.
Alcune insegnanti mi hanno fatto però notare che le Indicazioni attualmente in vigore per il curricolo della matematica nella scuola primaria non indicano esplicitamente una particolare preferenza tra i metodi didattici che si possono seguire nell’attuazione dei contenuti, lasciando quindi aperta la possibilità di usare gli insiemi. Le Indicazioni nazionali sono ricche però di rimandi allo scopo di questa scuola, in relazione alle caratteristiche dei bambini che la frequentano e della loro formazione matematica. Queste abbondanti sottolineature hanno secondo me un’indubbia ricaduta sulla scelta del metodo. Ecco l’inizio delle Indicazioni:
“Le conoscenze matematiche contribuiscono alla formazione culturale delle persone e delle comunità, sviluppando le capacità di mettere in stretto rapporto il ‘pensare’ e il ‘fare’ e offrendo strumenti adatti a percepire, interpretare e collegare tra loro fenomeni e artefatti costruiti dall’uomo, eventi quotidiani”.
Appare qui come orizzonte dell’apprendimento la realtà e la necessità di avere strumenti per comprenderla, interpretarla con un processo attivo, personale. Leggiamo infatti:
“…l’alunno è attivo, formula le proprie ipotesi e ne controlla le conseguenze, progetta e sperimenta, discute e argomenta le proprie scelte, impara a raccogliere dati, negozia e costruisce significati, porta a conclusioni temporanee e a nuove aperture la costruzione delle conoscenze personali e collettive”.
Date queste premesse, non mi sembra utile far imparare al bambino astrazioni già preformate, elaborate da altri e non da lui medesimo. Questo finirebbe facilmente per essere un tipo di apprendimento mnemonico, non facile da utilizzare per interpretare i fatti che ci si presentano. Ma è quello che succede quando per insegnare i numeri e le operazioni dell’aritmetica si decide di utilizzare gli insiemi, come ancora accade. Ecco cosa ne pensa Giorgio Israel in un paragrafo del suo articolo Indicazioni Nazionali per la Scuola Primaria, Matematica (Proposta presentata alla Commissione del Miur per la revisione delle Indicazioni Nazionali del 1° ciclo-2011) che riguarda la via d’ingresso alla matematica: “Al riguardo sarà opportuno evitare il ricorso alla teoria degli insiemi (e a tutta la casistica connessa) poiché tale teoria ha una funzione matematica soltanto in relazione agli insiemi infiniti che non possono essere oggetto di studio nella scuola primaria”.
Ecco allora che si intuisce in rapporto con l’infinito il senso dell’equipotenza e di altri particolari caratteristiche degli insiemi, spesso ancora insegnate all’inizio della scuola primaria, nonostante siano lontane dall’esperienza e dalla mentalità dei bambini della prima classe.
Ma il bambino può essere introdotto ai numeri e alla geometria senza proporre queste astrazioni prefabbricate, attraverso la scoperta di situazioni problematiche, sviluppando la capacità di usare i numeri in problemi particolari di conteggio e di misura, come racconta P. Carrucciu parlando della sua esperienza didattica.
Analogamente il bambino può essere introdotto alla geometria esaminando le forme e i rapporti nell’arte, nell’architettura, nel mondo che lo circonda. È quella che Israel chiama “la matematica del nostro mondo”, cioè la matematica nella vita quotidiana. E aggiunge a questo proposito: “l’apertura sulla matematica del mondo … permette di acquisire automatismi di calcolo mentale atti a sviluppare una crescente capacità di astrazione ed è l’occasione per introdursi a questioni concettuali circa la natura dei numeri”.
Escludendo gli insiemi, non si intende escludere in blocco il pensiero astratto. Carlo Felice Manara in Il concetto di astrazione in matematica cita il Novissimo Dizionario della Lingua Italiana di F. Palazzi, che alla voce “astrazione” afferma: “Facoltà della mente di distinguere l’una dall’altra le singole qualità di un oggetto sensibile, pensando ciascuna indipendentemente dalle altre, e dando ad ognuna un’esistenza a sé”. Quindi, secondo il linguaggio comune, l’operazione mentale che conduce all’astrazione significa guardare soltanto ad una parte delle cose, considerarne soltanto un aspetto o alcuni aspetti e non tener conto di altri, come nella frase utilizzata dallo stesso Manara: “gli italiani, facendo astrazione dal sesso e dall’età, sono 57 milioni”. Analogamente in matematica: “Per esempio quando si dice che un mattone ha la forma di parallelepipedo rettangolo, si intende che il concetto di questo solido geometrico viene costruito prescindendo (o facendo astrazione) dalla costituzione chimica del mattone, dal suo peso, dalle proprietà fisiche, e dalla sua posizione relativamente ad altri oggetti”.
Afferma ancora Manara: “L’operazione di astrazione, così come l’abbiamo presentata, è il punto di partenza fondamentale del pensiero matematico”. Certamente un pensiero personale, che affonda le sue radici nell’esperienza.
Se ora torniamo a rileggere le Indicazioni nazionali, riscopriamo l’importanza data al problema nell’apprendimento della matematica:
“Caratteristica della pratica matematica è la risoluzione di problemi, che devono essere intesi come questioni autentiche e significative, legate alla vita quotidiana, e non solo esercizi a carattere ripetitivo o quesiti ai quali si risponde semplicemente ricordando una definizione o una regola. Gradualmente, stimolato dalla guida dell’insegnante e dalla discussione con i pari, l’alunno imparerà ad affrontare con fiducia e determinazione situazioni problematiche, rappresentandole in diversi modi, conducendo le esplorazioni opportune, dedicando il tempo necessario alla precisa individuazione di ciò che è noto e di ciò che si intende trovare, congetturando soluzioni e risultati, individuando possibili strategie risolutive”.
Ecco ben giustificata la scelta didattica di P. Carrucciu per la sua prima della primaria, come si rileva dalle sue due interviste.
Non è però un linguaggio facile per gli insegnanti, né un compito banale. Si tratta di una didattica attiva in cui ciascun bambino procede per prove, alternando errori ed intuizioni esatte, trovandosi poi a dover ragionare per distinguere i passaggi esatti da quelli errati. I piccoli allievi si imbattono subito con la necessità di giustificare il proprio operato e di verificare l’esattezza del proprio risultato. È la via per imparare ad argomentare, per elaborare i propri concetti astratti, per non ridurre la matematica a un insieme di regole da memorizzare e applicare, imparando a riconoscerla e ad apprezzarla come contesto per affrontare e porsi problemi significativi e per esplorare e percepire relazioni e strutture che si ritrovano e ricorrono in natura e nelle creazioni dell’uomo, come segnalato sulle Indicazioni nazionali.
Una ricca sperimentazione sull’uso del problema nell’apprendimento della matematica è stata già condotta da vari ricercatori. Mi limito a segnalare il materiale reperibile sul sito dell’Associazione Ma.P.Es (Matematica, Pensiero, Esperienza).