Caro direttore,
ci permettiamo qualche osservazione in merito all’articolo molto interessante di Alessandra Servidori pubblicato il 4 agosto scorso che documenta come più della metà dei bambini e degli adolescenti, in Italia, non possa fare una vacanza di almeno quattro giorni lontano da casa e oltre 3 ragazzi su 5 tra i 15 e i 17 anni di età non possano permettersi, per motivi economici, periodi ricreativi e di svago neanche più brevi.



Sicuramente anche questo è un segnale della povertà educativa che interessa un alto numero di bambini e adolescenti, secondo la denuncia di Save the Children.

Openpolis, una fondazione indipendente che promuove l’accesso alle informazioni pubbliche, calcola che per molte persone l’arrivo di agosto significa il vero inizio delle vacanze estive, con la possibilità di trascorrere alcuni giorni lontano dalla città, dal lavoro, dalla scuola. Questa opportunità però per molte famiglie non è affatto scontata. Nel 2024 il 35,9% dei nuclei familiari ha dichiarato di non potersi permettere una settimana di ferie lontano da casa. In presenza di uno o due figli minori, la quota si attesta attorno al 30%; con almeno 3 figli sale fino al 45,7%.



Eppure il tempo estivo dei bambini e dei ragazzi, lungi dal ridursi a una mera mancanza (vacanza da vacans, essere vuoto, libero) di impegno formativo, rappresentato per lo più dalla scuola, deve o dovrebbe essere un tempo fondamentale per la loro crescita, ricco di occasioni, di scoperte e di esperienze, ovviamente diverse da quelle offerte dalla routine scolastica.

Non entriamo qui in una disquisizione sul (buon) uso del tempo libero, sulla noia che spesso subentra anche negli adulti, sulla ricerca ossessiva dell’originalità che prelude a comportamenti eccessivi o fuori luogo. Chiaramente un educatore sa offrire spunti, suggerire interessi, attività anche non ludiche ma coinvolgenti. Basti pensare alla scoperta della vita in campagna, alla vicinanza con la natura che per il resto dell’anno è inesistente: osservarla ma anche coinvolgersi con essa, non per sfruttarla ma per curarla con ammirazione.



Il bisogno del contatto con la natura non troverebbe ovviamente risposta nella ventilata proposta ministeriale di un incremento del tempo scuola anche nei mesi estivi. La soluzione sarebbe la possibilità di soggiornare in centri estivi, creati e gestiti in sinergia da enti pubblici e strutture private (associazioni, oratori ecc.). Esperienze pilota di questo tipo sono in atto in alcune regioni d’Italia, ma non sono sufficienti a coprire il fabbisogno, come ha documentato Nicoletta Martinelli su Avvenire (4 agosto 2024, p. 5).

Eppure c’è stato un tempo in cui l’estate, per molti bambini e bambine, era sinonimo di colonia. A partire dagli anni Sessanta, quando la maggior parte delle famiglie non riusciva a godere di un soggiorno, pur breve, al mare o in montagna, le colonie marine e montane hanno permesso a generazioni di bambini di vivere all’aperto 20 giorni tra mare, giochi, sport, passeggiate in montagna, in un clima amicale e sotto lo sguardo vigile delle sorveglianti, allora chiamate “signorine”. In generale, nelle zone del Nord interessate dall’esplosione dello sviluppo industriale e da una forte migrazione interna, le colonie venivano organizzate dalle amministrazioni comunali per le ragazze e i ragazzi residenti oppure dalle grandi aziende (Fiat, Pirelli, Singer, Enel, ecc.) per i figli dei dipendenti. Anche diversi enti con finalità socio-educative, come Caritas, Unitalsi, Enpas, o di orientamento cattolico e diverse parrocchie si attivavano per dare vita a strutture simili. Il personale occupato nella sorveglianza e nell’accompagnamento dei minori ospitati era costituito per lo più da volontari, magari studentesse appena maggiorenni, coordinati da direttori/direttrici responsabili dell’intera gestione delle strutture.

Col migliorare delle condizioni economiche degli italiani si diffuse la possibilità e il desiderio di vivere le ferie con tutta la famiglia, il ricorso alla colonia andò scemando e cominciò così, tra l’altro, la decadenza dei mastodontici edifici costruiti apposta che – tuttora in stato d’abbandono – restano a testimoniare un tempo ormai trascorso, nel quale la vacanza forse era più formativa di oggi.

(Antonia Colombo, Silvana Rapposelli)

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