“A Roma uno studente delle elementari su cinque non sa scrivere in corsivo. Gli altri lo fanno con grande difficoltà” scrive Repubblica. E Carlo Di Brina, dirigente della clinica di Neuropsichiatria infantile all’Ospedale Umberto I della capitale, coautore della ricerca su 594 alunni fra 7 e 11 anni in 16 scuole primarie, aggiunge: “Colpa dello stampatello degli schemi di tablet e smartphone”.
Al quale, ci permettiamo di aggiungere solo per esperienze diretta e prolungata, le maestre si sono adeguate in massa. Quante volte ho sentito ripetere dai miei scolari di prima media: “Scrivo stampatello perché me lo ha detto la maestra”? Il motivo era semplice: lo “stampatino”, come dicevano loro, è veloce da scrivere e semplice da correggere.
Così, una competenza che sino a dieci anni fa valeva soltanto per allievi disgrafici oggi vale per tutti o quasi. Si dirà: chi se ne importa del corsivo? Potremmo tirare in ballo il (defunto) “bello scrivere”, ma sarebbe anticaglia; l’educazione alla pazienza, ma chi ne ha più da mettere sul tavolo, anzi sul quaderno, con tutte le altre “competenze” volute dal ministero?
L’invito alla precisione, ma non si capisce a quale scopo, dal momento che il pc è più preciso di noi. Citiamo, allora, un passaggio del discorso, per altro noto, che Steve Jobs (allora delegato della Apple e della Pixar) pronunciò il 12 giugno 2005 per la cerimonia con cui l’università californiana di Stanford conferì i diplomi di laurea.
Dei “tre episodi della mia vita, nulla di speciale, solo tre storie” citati dal genio mondiale dell’informatica (già consapevolmente minato dal cancro) il primo (riferito al periodo in cui, con pochi soldi e senza prospettive, non lavorava e non studiava) fu il seguente.
“Gran parte delle cose che trovai sulla mia strada per caso o grazie all’intuizione si sono rivelate inestimabili più avanti. Lasciate che vi faccia un esempio: il Reel College (istituzione di arti liberali di Portland, Oregon, ndr) a quel tempo offriva probabilmente i migliori corsi di calligrafia del Paese. Nel campus ogni poster, ogni etichetta su ogni cassetto erano scritti in splendida calligrafia. Siccome avevo abbandonato i miei studi ufficiali e pertanto non dovevo seguire le classi da piano studi, decisi di seguire un corso di calligrafia per imparare come riprodurre quanto di bello avevo visto là. Ho imparato dei caratteri serif e sans serif, come variare la spaziatura tra differenti combinazioni di lettere e che cosa rende la migliore tipografia così grande. Era bellissimo, antico e così artisticamente delicato che la scienza non avrebbe potuto catturarlo, e trovavo ciò affascinante. Nulla di tutto questo sembrava avere speranza di applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando stavamo progettando il mio primo computer Macintosh, mi tornò utile: era il primo computer dalla bella tipografia”.
Capite? Un mago della tecnologia ci dice che prendere carta e penna per scrivere (meglio sarebbe dire disegnare) in bella grafia una A piuttosto che una Z viene prima di qualsiasi altra cosa e perfino della scienza, incapace di “catturare” la delicata bellezza dello scrivere in corsivo, fondamento di ogni altro sapere.
Non si mai che il disastro in cui versa la scuola italiana parta proprio da qui! A mano, naturalmente, perché per scrivere come sto facendo io adesso, cioè e per fortuna su una tastiera del computer, c’è tutta la vita.
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