Ne abbiamo viste di tutti i colori in questo travagliatissimo inizio di anno scolastico, a partire dalla promessa che entro il 14 di settembre sarebbero certamente arrivati tutti i banchi, con o senza rotelle (queste ultime assenti anche nelle teste di molti addetti ai lavori), per finire alle arrabbiate proteste sindacali di queste settimane: non ultima quella contro il prossimo concorso per assegnare finalmente 35mila cattedre. Quasi che i sindacati volessero fare tabula rasa di quel residuo di credibilità che ancora il sistema scolastico riesce ad avere, spingendo per l’ennesima immissione in ruolo di migliaia di insegnanti senza il filtro di un concorso, come da Costituzione. Ha scritto di recente Sabino Cassese: “Solo con il concorso (con un concorso fatto perbene) si può misurare il merito, cioè qualità, esperienza, capacità, abilità. Solo il concorso dà eguali possibilità a tutti: senza concorso, potrà avere il posto quello che è più vicino al politico di turno, o al dirigente amministrativo, perché la scelta è discrezionale, non competitiva, non operata da una commissione imparziale. Insomma, prevarranno affiliazioni, familismo, talora corruzione”. Contro l’unica procedura corretta non si è invece rinunciato a proclamare scioperi a ripetizione, malgrado quasi tutti gli istituti fossero già stati penalizzati perché sede dei seggi elettorali.



Si poteva dunque fare di più e meglio. Per esempio, sarebbe stato fondamentale bloccare per un anno le graduatorie per evitare la confusione che si sta creando in moltissime scuole, che devono controllare la veridicità di quanto hanno dichiarato i docenti riguardo alle loro competenze nelle domande di incarico. Può infatti capitare, e sta accadendo, che da una prima verifica dei fascicoli si debba poi procedere all’annullamento degli incarichi per poi dover nuovamente “scalare” le graduatorie e passare ad altre nomine.



Onestamente sarebbe stato opportuno che tutti, ma proprio tutti, gli addetti ai lavori avessero preso contezza della situazione che la scuola si sarebbe trovata ad affrontare in questo inizio d’anno. Una situazione che infatti si sta complicando sia per problemi ormai storici, sia per le difficoltà create dalla attuale emergenza; e a pagare il prezzo maggiore saranno le scuole più problematiche. Tanto per intenderci, quelle di periferia e di frontiera, che da sempre sono costrette a subire organici assai differenziati tra quelli di fatto e quelli di diritto e che proprio quest’anno avrebbero avuto maggiore necessità di iniziare in condizioni, almeno da questo punto di vista, più sicure e serene.



Un esempio di scarsa consapevolezza della situazione in cui si trova la scuola viene da una media di Firenze. Alcuni genitori hanno costretto per protesta i loro figli a restare a casa, in quanto ancora privi del docente di matematica: quello appena nominato era stato giustamente assegnato dalla dirigente a una classe priva anche della gran parte degli altri docenti. È un segnale che preoccupa in quanto, al pari di ciò che accade in molti altri diffusi comportamenti sociali, anche nella scuola sembra farsi strada l’attaccamento al “particulare”, alla cura del proprio giardino senza alcuna attenzione per chi è costretto a subire condizioni molto più penalizzanti. Un segnale, appunto, che tuttavia sembra confermare come sia sempre più difficile da parte della scuola educare i ragazzi alla solidarietà e alla comprensione di chi vive in condizioni peggiori delle nostre, se le famiglie costringono poi i loro figli a crescere nei “valori” dell’egoismo e della prepotenza.