Il romanzo autobiografico Banchi di vita, uscito all’inizio di novembre per la Helicon edizioni, è il frutto di un debito di gratitudine per ciò che l’autrice, Cecilia Ricci, docente di filosofia e storia, ha appreso dai suoi alunni durante i primi anni di insegnamento. Ogni insegnante è spesso ridotto, come si spiega nel testo, “a pianificatore di programmi, di contenuti, unità, moduli, sapientemente dilazionati, snocciolati nell’arco delle lezioni e delle settimane ma ha la possibilità di accorgersi, se è onesto con quello che vive, che non c’è una tabella di marcia perfetta quando si hanno davanti le vite degli altri”.



Chi vive dentro la scuola sa bene che questa istituzione, da qualche anno, ha deciso di rifarsi il trucco, assumendo le forme di una grande officina preposta alla riprogrammazione dei cervelli, secondo i protocolli europei ricchi di fantasie metodologiche. Anche chi voglia prepararsi a un concorso docenti sa bene di doversi sottoporre a corsi di addestramento e ingurgitare un bibitone di tecniche didattiche che nulla hanno da spartire con la cultura capace di interrogare il mistero dell’umanità. Le ricette proposte dai piani alti contano “tra gli ingredienti quantità indefinite di ascolto, valorizzazione, interazione multimediale come leva per sollecitare l’interesse. Una poltiglia neutra di indicazioni che non indicano, di Linee guida che non guidano, se non verso l’omologazione di attitudini, gusti, capacità, nel grande ideal-tipo dell’unico soggetto collettivo che conti: la classe. I singolari protocolli di gestione del conflitto sorto nelle dinamiche della classe sono attenti a bandire qualsiasi forma di preferenza. E se essa invece fosse la sola arma per ridestare passione e libertà?”.



È anche per resistere al rischio di deriva spersonalizzante della scuola che l’autrice ha avvertito l’urgenza di raccontare la storia della gratitudine sorta, passo dopo passo, incontrando la meraviglia e la rivolta dei suoi studenti, maturate dentro le lezioni di filosofia. Gli interrogativi della disciplina hanno generato le loro domande e permesso alle sue di ridestarsi, consentendo alla sua umanità rattrappita e infarcita di pretese di misurarsi con l’assillante domanda che si ostinava a non guardare: “Esiste qualcosa che duri per sempre?” e “Che forma ha il Bene? Quello che riceviamo, immeritato, o quello che doniamo per guarire segretamente le nostre colpe? Che natura aveva il mio, commensurabile al dolore da cui sgorgava incessantemente insieme alle mie quotidiane rivolte?”.



La fine di uno dei tanti esami di Stato aveva portato alla coscienza che non ci sarebbe stato più spazio per lo stupore e le domande sofferte, nate dagli interrogativi filosofici e dai crimini della storia. Gli alunni avrebbero intrapreso cammini diversi, ma la giovane insegnante, anziché gioire fiduciosa, viveva il dolore dello strappo. Fu allora che interrogò quel dolore, figlio del suo bisogno innato di eternità e della promessa tradita che rintracciava in numerose esperienze della sua vita. Probabilmente, allora, pochi avrebbero indovinato il suo smarrimento, soprattutto i suoi studenti che erano soliti vederla come un generale inflessibile ed esigente dentro al recinto della classe.

Quello delineato è quindi un percorso di cambiamento dalla pretesa alla gratitudine, reso possibile dal cammino attraverso il dolore della malattia e della perdita, il bisogno di amicizia e di autenticità di rapporti veri, il dramma per la sofferenza dei ragazzi disabili e l’amore incommensurabile ricevuto da loro in dono. Tutte esperienze che nel volume hanno nomi e storie uniche e universali.

Strapparle all’anonimato è il suo modo di rendere grazie, perché “Ignoriamo quasi sempre che insegniamo per scoprire realmente quello che sapevamo in astratto. Iniziamo a farlo assistendo grati al miracolo della corrispondenza. Poi ce lo scordiamo, a poco a poco. Cominciamo a sfrecciare assenti sulla via della pianificazione cercando solo rapporti sicuri. Poi accade qualcosa, un imprevisto. Ti imbatti in qualcosa o qualcuno sperimentando di essere preferita e ti ricordi di esserlo stata da sempre. Dall’inizio della tua vita”.

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