La strategia politica della ministra Azzolina per affrontare l’avvio del nuovo anno scolastico si potrebbe racchiudere in due punti: banchi e immissioni in ruolo.
In quali termini si pone la questione dei banchi?
Certamente sono utili e non solo perché in alcune scuole mancano o ve ne sono di vecchi, con il piano inciso da generazioni di alunni annoiati o inclini al vandalismo, ma perché consentono, se di dimensioni ridotte, un maggior numero di alunni in classe. Quindi sì, i banchi vanno bene, ma non direi che rappresentino un cambiamento di portata storica.
Quanto alle sedie con le rotelle, esse sono un oggetto più simbolico che materiale. Dal punto di vista della funzionalità, infatti, non è chiaro il loro utilizzo in funzione anti Covid-19. Alcuni dicono che, se gli alunni devono far spazio a uno di loro che chiede di uscire dall’aula, le rotelle agevolano gli spostamenti. Ma se lo spazio è risicato, coloro che si spostano per consentire l’uscita al compagno, contemporaneamente si avvicinano ad altri alunni. Così, purtroppo, viene meno il distanziamento.
La potenziale mobilità, infine, si addice a classi ben disciplinate, altrimenti per i professori il compito della vigilanza appare improbo.
Secondo altri, l’aspetto simbolico si associa alla portata didattica innovativa delle stesse sedie. Esse, infatti, possono favorire la suddivisione della classe in gruppi, quando si porta avanti un certo tipo di attività. La lezione, poi, potrebbe svolgersi adottando approcci e tecniche diversi da quello del tradizionale modello frontale (il docente che spiega, opposto alla classe). Ma se nelle singole scuole non c’è un contesto organizzativo favorevole all’innovazione, quelle sedie servono a poco.
A questo punto, è opportuno chiedersi in che misura la scuola italiana sia innovativa.
Salvo che nelle scuole dello straordinario movimento di Avanguardie educative, sorto “dal basso” e coordinato meritoriamente da Indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa), la pratica di nuove didattiche non è molto diffusa. Non a caso queste ultime sono denominate perlopiù con terminologia inglese (cooperative learning, peer education, service learning, ecc.), a conferma del fatto che, nonostante la prestigiosa tradizione pedagogica italiana (si pensi alla Montessori, di cui ricorre il 150esimo anno della nascita), la sperimentazione didattica si sviluppa soprattutto all’estero.
In sostanza, per utilizzare in maniera innovativa le sedie (e molti altri arredi) occorrono scuole aperte al cambiamento, che abbiano una forte componente di docenti disposta a mettersi in gioco. Scuole che abbiano un’organizzazione capace di riflettere su se stessa e apprendere continuamente dalle proprie esperienze (learning organization).
Quante sono queste scuole? Direi che il rischio che le sedie siano scambiate per giocattoli è molto elevato.
Affrontiamo adesso il secondo punto, quello delle immissioni in ruolo. Nel corso di una recente trasmissione la ministra ha dichiarato, con un’espressione molto soddisfatta, di aver ottenuto dal Mef i finanziamenti per l’immissione in ruolo di circa 84.800 docenti a tempo indeterminato. Non fosse altro per la ristrettezza dei tempi, ne sortirà inevitabilmente una massiccia sanatoria, basata sostanzialmente sugli anni d’insegnamento dei singoli docenti.
Nihil sub sole novum, poiché le sanatorie sono, ormai da decenni, la principale modalità d’ingresso nella scuola. Dal punto di vista delle singole persone, si tratta anche di una questione di giustizia, perché è inaccettabile lavorare in forma precaria per anni e anni. Ma dal punto di vista del sistema scuola, le cose stanno diversamente.
Se si osserva, infatti, che la scuola italiana raggiunge risultati poco più che mediocri nelle ricerche internazionali (p. es. Pisa-Ocse) o che ha un alto tasso di ripetenze degli alunni e un numero elevato di abbandoni, il principale obiettivo del decisore politico dovrebbe essere quello di puntare su un elevamento della qualità del servizio. Per questo sarebbero necessari concorsi selettivi, anziché sanatorie.
Certamente i docenti “sanati” possono anche essere bravissimi. Ma, senza un concorso efficace, cosa ne sappiamo?
Osservo, infine, che la media dei docenti in Italia rispetto agli alunni è molto elevata. Il problema è che ci sono troppi insegnanti in alcune regioni del Sud e pochi in quelle del Nord. Essi – come è stato spiegato recentemente da Francesco Luccisano e Marco Campione – sono mal distribuiti, più che carenti.
In conclusione, se qualcuno aveva ipotizzato per la scuola, dopo il lockdown, un destino diverso da quello assistenzialistico, probabilmente ha coltivato stolide utopie.
A scanso di equivoci, neppure l’opposizione di destra esprime idee di politica alta… L’unica proposta è quella di immettere in ruolo ancora più docenti.
“You may say I’m a dreamer; but I’m not the only one”, cantava John Lennon. Niente di più sbagliato: all’orizzonte politico non vi sono sognatori, ma cacciatori di voti.