In questi giorni sta crescendo, con più intensità, anche alla luce dei nuovi fatti, il disagio della comunità educativa riguardo alle scelte di un ministero che appare sempre più in ritardo rispetto all’inizio dell’anno scolastico. In diverse interviste è sembrato che la riapertura fosse legata a un problema esclusivamente tecnico: il banco degli alunni. Apprendiamo, in maniera sconsolata, che i banchi monoposto con rotelle, simili ai decisivi carri armati della seconda guerra mondiale, arriveranno solo a scuola iniziata, e la loro introduzione sarà completata verso la fine di ottobre. L’avveniristico banco del nuovo millennio supera certamente il modello di banco proposto da Renzo Piano, che pensava a una categoria antica, ma troppo bella per essere considerata: i falegnami.
Bisogna, comunque, precisare all’opinione pubblica che sul banco monoposto s’è creata un’attesa salvifica sconsiderata, alimentata dalla propaganda e aumentata dalle foto in prima pagina dei quotidiani, che lo pongono al livello di una diva hollywoodiana.
Il problema delle scuole, tuttavia, non è solo il salvifico banco, ma le aule, gli spazi. Quali aule? Quante aule? Quali e quanti edifici da utilizzare? Si è parlato, durante l’estate, di hotel, B&B, cinema, teatri, e perché no baite e pure gite nei boschi. Non si è certamente pensato a caserme dismesse o altri beni dello Stato: il risparmio sarebbe stato insostenibile e si sarebbe dovuto fare ricorso al Mes. Inoltre, giusto per tenere i nervi saldi, sappiamo che ancora c’è incertezza, in ordine al problema dei trasporti, con difficoltà da gestire rispetto agli orari e alle possibili assenze e/o ritardi degli alunni dovuti a mancanza di posto.
Resta poi un nodo assolutamente fondamentale da sciogliere: la salute degli insegnanti. Il corpo dei docenti italiani ha un’età media alta che va tutelata con un’azione preventiva e urgente prima della riapertura della scuola: tamponi, test sierologici e vaccinazioni anti influenzali in primis ai professori con patologie pregresse. Tali criticità erano ben note e ben conosciute anche rispetto alla mole di persone coinvolte dalla riapertura dell’anno scolastico (8 milioni e mezzo tra studenti, docenti, personale). Ma nel frattempo, anziché programmare una tempistica adeguata, cadenzata da passi precisi e condivisi con tutte le parti sociali e le componenti della scuola, si è perso tempo prezioso, parlando di Pai e Pia, cioè di Gianni e Pinotto, e non di organizzazione del nuovo anno scolastico.
Si è pensato, così, per far vedere che “la scuola non si ferma”, a organizzare corsi di recupero per studenti che normalmente non avrebbero superato l’anno scolastico, a causa dell’alto numero di insufficienze e delle numerose note disciplinari. E non solo non si è data copertura economica per le ore in più richieste ai docenti, ma i corsi di recupero sono stati resi facoltativi e non obbligatori per gli studenti con le insufficienze gravi e diffuse (sic!).
Detto altrimenti, prima ti promuovo senza merito, poi ti invito a frequentare un corso se ti va e se non sei in vacanza, ad ogni modo se dovessi mancare tu, il docente con “le rime buccali” coperte sarà presente!
Insomma, una strategia basata su azioni irrazionali, che considera gli insegnanti meri esecutori di direttive ministeriali non giustificate dal punto di vista etico-pedagogico. E d’altro canto che dire della notizia che non sarebbero state fatte classi pollaio? Continuano a essere strutturate classi da 28 alunni, perché i dirigenti scolastici si trovano costretti a costituirle da strettoie burocratiche e paletti normativi che condizionano la loro azione.
Tuttavia l’autonomia è sempre rispettata: infatti, in caso di problemi vari, con il più classico scaricabarile dei vecchi tempi, pagano a livello legale il dirigente scolastico e i suoi collaboratori. Che dire poi del responsabile scolastico Covid uscito, con un gioco di prestigio, dal cilindro nel tardissimo agosto? Quale formazione? Quali responsabilità? Chissà chi lo sa?
Ma non basta; tanto per avere punti fermi, appaiono su quotidiani nazionali notizie contrastanti sull’uso delle mascherine in classe: sì, no anzi forse. Scena già vista col plexiglas: sì, no, mah! Si può dare una risposta univoca, per favore? Eppure l’Italia non manca di ingegneri gestionali, sociologi dell’organizzazione, esperti di sicurezza. Si trattava solo di attivarli ed eventualmente, con spirito di umiltà, posticipare l’inizio dell’anno scolastico.
Ma si sa, tante volte più della sostanza conta l’immagine ed è perciò facile passare dalla trasmissione televisiva del Grande Fratello al Grande Fratello di Orwell, che pianifica solo ideologicamente. E si può pensare di ricoprire incarichi gravosi senza competenza, curriculum di spessore e chiara fama, tanto “andrà tutto bene” e se non va bene si dirà “sono ragazzi!”.
Gli insegnanti italiani hanno agito in questo periodo con grande senso di responsabilità per il bene comune, ora però, rispetto a ciò che sta accadendo, vogliono risposte e certezze: basta con la confusione, basta con il nulla. Il bene e il futuro di un popolo passano dalla sua educazione e da guide adeguate alle sfide dei tempi.