È ancora l’emergenza educazione ad occupare il tema centrale dell’ultimo editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera: dopo aver preso di petto lo scorso 15 luglio il problema della scuola, sottolineando come la generazione di oggi non sia più in grado di educare i giovani («solo di compiacerli o incensarli»), il professore e scrittore si concentra sul futuro che potrà avere davanti la struttura scolastica italiana. «Una delle principali cause della decadenza italiana è stata la catastrofe educativa che ha colpito il Paese da almeno una trentina d’anni. Una catastrofe che ha disarticolato l’istituzione scolastica, producendo generazioni sempre meno preparate», scrive Galli della Loggia nell’editoriale della domenica sul CorSera, dicendosi concorde con il collega Panebianco nell’urgenza di un “sussulto” nella classe dirigente per ridisegnare la scuola (e la cultura) del futuro.



«La verità — che tutti rimuoviamo — è che da decenni l’Italia è un Paese privo di una classe dirigente ed è perciò che l ’istruzione si trova nelle condizioni in cui si trova. Il ceto politico — ormai sempre più giovane — è in buona parte il frutto esso per primo del crollo educativo di cui stiamo parlando», riflette l’editoriale, citando le tante mancanze di questi ultimi 20-30 anni a livello politico e culturale. Ma prima di una riforma o di una nuova legge, l’emergenza è limitare il più possibile la presenza dell’ideologia nelle classi e nei docenti: «Quel che serve è una svolta culturale che colpisca alla radice l’ideologia che è stata la prima responsabile della crisi in cui la scuola è sprofondata».



SCUOLA E CULTURA, DA DOVE RIPARTIRE

Un problema di “classismo” che negli anni Sessanta ha visto lo stravolgere dei contenuti stessi insegnati (per combattere la “cultura borghese”), con il ridimensionamento dei testi a memoria, del latino e delle nozioni in favore di una «istruzione nuova per tutti»; ma per Galli della Loggia i problemi si originarono anche dal tentativo di inclusione (positivo) che generò purtroppo spesso in delegittimazione di selezione e conoscenza culturale. «Nessuno trovò mai il coraggio di dire che al pari di qualsiasi impresa umana anche la riuscita di un impegno educativo e del relativo apprendimento può essere misurata dal più al meno: e caso mai trovata insufficiente. In mancanza di che il senso stesso di quell’impegno svanisce e con esso pure il significato ultimo della scuola», attacca il professore sul “Corriere della Sera”. Un enorme problema identificato da Galli della Loggia riguarda il “passaggio” da una funzione socialmente democratica della scuola ad una «funzione ideologicamente democratica. Da molti anni pertanto la scuola sembra esistere esclusivamente per essere non solo l’ambito delle più svariate iniziative ispirate al politicamente corretto», ma anche «di una serie continua di prescrizioni innovative — didattiche, pedagogiche, psicologiche, tecnologiche — che proprio per questo loro carattere, per il loro modernismo esibito, per il loro essere contro il “vecchio”, “ciò che si è fatto finora”, sono presentate come un frutto felice del progresso dei tempi». Essere “nuove” e “politicamente corrette” non fornisce a queste prescrizioni per forza dei patentini di “democraticità”: conclude Galli della Loggia, «tali novità, in parte anche positive se inserite in un’istituzione scolastica solidamente orientata alla propria antica vocazione educativa, hanno invece avuto e continuano ad avere un effetto solo distruttivo, definitivamente distruttivo, su una scuola da decenni bersaglio di un’ ideologia che ha mirato a delegittimarla proprio in tale vocazione». È da questa ideologia che prima di ogni altra cosa l’Italia «deve spazzare via se vuole avere una scuola finalmente capace di accompagnarlo sulla strada della sua rinascita».

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