Difficile non stare male di fronte alle foto della studentessa di Verona bendata. Di nero. Per una interrogazione. Fanno l’effetto delle immagini di guerra, delle carceri di quei paesi dove si maltrattano i detenuti. Qualcosa non va. Si vede dietro un potere, una costrizione. Ma l’aguzzino non c’è. Dov’è?

A meno che non si voglia dire che l’aguzzino sia il docente che ha posto delle condizioni per interrogarla. Per fare bene il suo mestiere, per essere imparziale, per verificare i suoi “apprendimenti”. Lo direste voi che è un aguzzino?



Eppure c’è un errore da qualche parte. Lo stomaco lo sente, qualcosa in noi si ribella. Ma dov’è l’errore? Non parliamo di quelli che potrà fare la studentessa. C’è un errore ben più grave. È a monte, all’origine di quell’immagine. Perché quella è l’immagine di una vittima.

Possibile? Siamo arrivati a questo? Certamente sì, anzi. Ci siamo arrivati con ponderatezza, a volte in tranquillità, quasi senza accorgercene, per fare bene il nostro mestiere di docenti che devono verificare la preparazione degli studenti. Anzi: siamo diventati molto ingegnosi: più device, più telecamere, visibilità alla telecamera delle mani, degli occhi, di tutto il corpo, specchi. Bende.



Ma c’è un errore. Ci deve essere un errore. Altrimenti diremmo: “Siamo d’accordo: questo è l’unico modo possibile perché lo studente non sbirci, non veda gli aiuti che gli compaiono sullo schermo o sul telefono, non copi. Questo è l’unico modo perché la valutazione sia attendibile, per vedere (noi sì, lui no!) se ha imparato”.

Ma un errore c’è, e sta in cosa noi crediamo sia l’apprendimento dello studente, cioè in cosa noi crediamo sia lo scopo del nostro insegnamento.

L’apprendimento non è esclusivamente sapere delle nozioni a memoria, l’apprendimento non si mostra in una prova di un quiz televisivo. Questa idea di apprendimento è il vero aguzzino che crea vittime, cioè automi. E si capisce che le vittime sono due: l’altra è proprio il docente. L’apprendimento invece è sapere usare quelle nozioni per affrontare un problema non ancora affrontato, l’apprendimento è sapere valutare in modo critico le nozioni e saper spiegare il proprio punto di vista o la soluzione che si avanza. L’apprendimento è conoscere ed essere consapevoli di ciò che si vede, non ripetere a memoria qualcosa che non si vede. Questo crea persone.



Chiediamoci allora: quali sono le domande che io professore faccio a uno studente bendato? Quali sono le domande che io docente faccio a un ragazzo che invece ci vede? Capiremo subito quanto a fondo della mia materia devo andare per porre delle domande che siano all’altezza della conoscenza profonda e critica della persona e non dell’automa che ho di fronte.

Il ragazzo può e deve vedere tutto. Il punto è se sa conoscere, se sa scegliere, se sa spiegare ciò che vede e come guarda ciò che ha di fronte. E che bello insegnargli questo.

In breve, credo sia questo il fine della scuola, viceversa sarà la fine della scuola. Perché se è la scuola delle nozioni, cosa ne sarà? È già agonizzante da quando esiste Wikipedia.

Da qui parte il lavoro enorme (mastodontico) da sviluppare per non tornare indietro, mai più, da quanto quest’anno ci ha rivelato, e (accorgetevene!) questo lavoro enorme è già iniziato, sta già trasformando la scuola: migliaia di docenti e di studenti lo hanno svolto, come in botteghe artigiane, hanno sperimentato metodi didattici innovatiti, costruito sistemi valutativi efficaci, mantenuto relazioni buone ed educative e sono pronti a ricostruire. A ricostruire tutto.

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