La maturità solo orale, introdotta nel 2020 e 2021 per l’emergenza pandemia, potrebbe diventare la regola. Lo ha fatto intendere settimana scorsa il ministro Patrizio Bianchi in una trasmissione televisiva. La notizia non ha avuto grande diffusione, soprattutto perché è sembrata un’improvvisazione del capo dell’istruzione italiana. A guardare bene, Bianchi ha anche dichiarato di “avere molti riscontri positivi dai ragazzi” e ha chiesto tempo per “articolare un pensiero complesso”, anche se la maturità light “prepara all’università, al lavoro ed ad altre possibilità di crescita”.
Dunque il nuovo ministro dell’Istruzione vuole metterci del suo, come tutti i suoi predecessori. E in continuità con Lucia Azzolina ha ben pensato che un esame di Stato strutturato solo con un colloquio orale, anche se pur supportato da una tesina, può essere sufficiente per completare il ciclo secondario d’istruzione.
L’ipotesi potrebbe essere interessante, a patto che si tolga definitivamente dal campo l’idea che a conclusione degli studi superiori sia necessario un esame di Stato, una prova con valore legale, che permette l’accesso all’università, al pubblico impiego e ai relativi concorsi. Per fare ciò, però, ci vuole una rivoluzione culturale, che nell’Italia burocratica e legalitaria non sembra possibile.
Sarebbe necessario sbaraccare un esame fatto di crediti, di prove a punteggio, di bonus e somma dei parziali, per accedere a una valutazione delle competenze e conoscenze acquisite. Per approdare alla cultura della certificazione, in auge nel mondo anglosassone, bisogna anche accettare l’idea che lo studente non raggiunga la “sufficienza in tutte le discipline” per poter accedere al livello superiore, ma che si ottengano abilità in certi ambiti, mentre in altri la preparazione sia ancora inadeguata. Una sorta di curricolo dello studente che metta in evidenza qualità e limiti in un determinato segmento formativo.
Necessita di conseguenza un’attestazione rigorosa e veritiera, affinché non si ripeta il cosiddetto mercato dei voti che si manifesta in ogni scrutinio dell’italica istruzione, in cui bisogna sempre alzare le valutazioni per permettere agli studenti in difficoltà di non incorrere nella mannaia della bocciatura.
Bisogna allora chiedersi se il ministro dell’Istruzione abbia voluto con il suo intervento iniziare una seria riflessione sul delicato tema della conclusione del ciclo secondario, oppure, trovandosi nel bel mezzo di una trasmissione televisiva, si sia lasciato prendere la mano con una boutade senza capo né coda. La seconda ipotesi sembra più verosimile, perché, com’è noto, passano i governi e arrivano nuovi ministri. Quelli dell’Istruzione hanno poco peso, in quanto la materia è saldamente in mano alla burocrazia ministeriale, per cui chi comanda a viale Trastevere si può far notare solo con dichiarazioni che abbiano valenza mediatica. I banchi a rotelle per la Azzolina, la maturità light per Bianchi. Dichiarazioni che però spesso rivelano la scarsa attenzione che la classe politica ha per l’istruzione. Non quella dei finanziamenti, ma quella che riguarda la cura, che ne verifica la vera efficacia o che provi a pensare, a ideare un nuovo sistema, soprattutto nella scansione temporale del percorso, riducendolo ad esempio a 12 anni complessivi, in modo che a 18 anni i nostri ragazzi, come i loro coetanei europei, possano concludere la formazione secondaria e accedere a quella terziaria.
Invece no: sull’effetto dell’emergenza, ci si affida all’improvvisazione; un ritocco qua, uno là, ed essendo abbastanza facile, ultimamente si va spesso a intervenire sulla parte finale, sull’esame, come se per ristrutturare una casa si mettesse mano, per prima cosa, all’imbiancatura delle pareti. Forse più che di ritocchi avremmo bisogno di una riforma strutturale.
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