Negli ultimi anni, grazie al diffondersi delle teorie che danno importanza alle non cognitive skills, a livello generale si sta riflettendo sull’opportunità di rivedere l’approccio eccessivamente funzionalista che ha dominato negli ultimi decenni la scuola, basato sulla rilevazione delle competenze misurate da test.



Oggi c’è interesse per un approccio al tema della formazione completa di una personalità istruita, basata sullo sviluppo di dimensioni quali il saper combinare le conoscenze con un ragionamento critico; mostrare la volontà e la capacità di considerare i problemi globali da più punti di vista; saper interagire con culture diverse; viversi come membri attivi e responsabili della società dimostrando di saper rispondere alle situazioni locali, globali o interculturali.



Nella scuola italiana degli anni cinquanta, in realtà, l’allora ministro Aldo Moro aveva introdotto esplicitamente nei programmi l’educazione civica che, pur presentando contenuti propri, era collegata all’insegnamento di storia. Tuttavia tale insegnamento si concepiva in modo non meramente teorico, bensì quale spinta per collegare le classiche materie di insegnamento con elementi di vita reale (allegato al DPR 285/1958).

Questa ispirazione però non è stata adeguatamente sviluppata nelle sue implicazioni didattiche e metodologiche. Da una “sudditanza” alla storia si è cercato più volte di uscire anche editando testi specifici sui contenuti dell’educazione civica, tuttavia essa restava di pertinenza del docente di lettere e veniva intesa come disciplina con contenuti da apprendere. Successivamente si è passati a considerare anche la geografia, soprattutto quella europea ma non solo, come ambito nel quale affrontare le diverse organizzazioni statali con le loro caratteristiche, ma anche il nascere e lo svilupparsi di organizzazioni sovranazionali e delle loro caratteristiche e modalità di funzionamento (Onu, Ue, ecc.).



L’educazione civica comunque restava una materia da conoscere, studiare e le cui conoscenze erano verificate e misurate con un voto.

Oggi, leggendo le Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, adottate in applicazione della legge 20 agosto 2019, n. 92, si osserva nel quadro normativo dell’allegato A che “la Legge, ponendo la conoscenza della Costituzione Italiana a fondamento dell’Educazione Civica, la riconosce non solo come norma cardine del nostro ordinamento ma anche come criterio per identificare diritti, doveri, compiti, comportamenti personali e istituzionali, finalizzati a promuovere il pieno sviluppo della persona e la partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.

La norma richiama il principio di trasversalità di tale insegnamento anche a causa della pluralità degli obiettivi di apprendimento e delle competenze attese.

Se la sottolineatura al principio di trasversalità apre alla prospettiva di cui si diceva, si possono evidenziare alcune criticità che vanno sicuramente affrontate affinché non invalidino l’intero processo, come l’esperienza di alcune scuole ha mostrato.

Mentre nei principi ispiratori infatti si afferma che “L’educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole e dei doveri”, ci si sofferma poi su un lungo elenco di contenuti espressi nell’art. 3, comma 1 molto eterogenei anche se tratti dalla Costituzione italiana, i quali, in mancanza di un lavoro strettamente interdisciplinare, possono far perdere di vista il significato complessivo della Costituzione stessa.

Si tratta di contenuti molto ricchi per i quali le 33 ore annue previste, soprattutto quando nei consigli di classe si delega la parte fondante dell’intervento al docente coordinatore, non forniscono un adeguato spazio e si finisce semplicemente per affrontare queste tematiche non in modo complementare ma come giustapposizione di contenuti presentati dai docenti delle diverse discipline in vari periodi e anni del percorso didattico. In tal modo decade la positività delle intenzioni e il tutto finisce per tradursi nella trasmissione di abilità e conoscenze “su un po’ di tutto”, facendo di fatto fallire l’obiettivo di educazione alla cittadinanza globale come non cognitive skill.

Vorrei ricordare che il Consiglio superiore della pubblica istruzione, in fase di parere, aveva indicato l’opportunità che fosse superato il voto in decimi, ritenuto poco plausibile data la trasversalità di tale insegnamento, a favore di un giudizio descrittivo; tuttavia tale indicazione non è stata recepita, con il rischio che l’educazione civica finisca per essere una materia come le altre.

Esiste però una possibilità interpretativa che consideri l’educazione civica quale fonte strutturante di modi diversi di pensare e di concepire se stessi e se stessi in relazione agli altri. In tal caso occorre partire dal concetto di cittadinanza, facendo riferimento a due elementi fondamentali: il legame tra individuo e Stato e il cittadino quale membro di una comunità politica.

I diritti acquisiti a l’accettazione di doveri costituiscono il nucleo del concetto di cittadinanza. Dato che una società può essere fondata non solo da vincoli utilitaristici ma anche da solidarietà come profonda relazione che lega gli uomini tra loro, è sul legame tra diritti/doveri che, a mio avviso, occorrerebbe incentrare l’insegnamento dell’educazione civica. I contenuti che si selezionano dovrebbero avere come obiettivo la formazione della persona come scoperta dell’Io in relazione al mondo a partire da quello più vicino, cioè l’ambito di vita di ogni alunno: la famiglia, la scuola, il gruppo di coetanei e amici, il proprio quartiere, comune, paese, ecc., via via sempre più allargando l’orizzonte con il crescere dell’età, senza mai tuttavia perdere di vista la propria crescita personale.

Prendersi cura di sé, della comunità, dell’ambiente; agire secondo criteri di solidarietà, uguaglianza, rispetto della diversità: non basta studiare tali principi, occorre che essi siano appresi e messi in atto nell’esperienza.

Si tratta infatti di veicolare i contenuti attraverso momenti esperienziali, dove, con il termine esperienza si intenda far vivere situazioni di studio e riflessione sulla Costituzione e sulle regole e legami da essa derivanti ma anche momenti aggreganti di vita comunitaria, giudicati, cioè riflettuti e condivisi tra coetanei e con adulti di riferimento.

Non a caso, giustamente, nelle Linee guida si chiede che si rafforzi la collaborazione con le famiglie perché ci si aiuti reciprocamente nel far emergere e consolidare comportamenti positivi nei giovani.

Lavorando in tal modo l’adulto, il docente, ha la possibilità di osservare e conoscere più a fondo i propri ragazzi, le loro caratteristiche, le unicità e i loro comportamenti, in un’ottica di collaborazione e crescita personale e di gruppo classe.

La progettazione dell’educazione civica non deve poi prescindere dalla storia sociale e nazionale e dalla consapevolezza (non scontata) che l’Io possa essere educato e che la percezione di adulti interessati ha il potere di far crescere e maturare la consapevolezza che i giovani hanno di sé e del loro valore.

Costituzione quindi come fine e mezzo per fare esperienza delle regole che sono alla base di ogni rapporto, regole che facciano crescere nella valutazione dei processi e quindi nell’autovalutazione. È lo sguardo del docente che determina la percezione del singolo e della classe e lo svilupparsi della creatività.

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