Le “Linee guida” per la ripresa della scuola a settembre, appena pubblicate dal ministero dell’Istruzione, lasciano senza risposta tre questioni fondamentali. Primo: non sappiamo con quale organico le scuole dovranno organizzare la propria attività didattica e amministrativa, visto che al momento docenti e personale Ata sono stati assegnati secondo i consueti parametri.
Secondo: non è chiaro se sarà obbligatorio garantire l’intero monte ore annuo agli studenti o se, come nell’anno scolastico appena concluso, ci potranno essere riduzioni in conseguenza della necessità di organizzare turnazioni o prevedere ore di lezione di meno di 60 minuti.
Terzo: non si affronta il nodo degli effettivi poteri conferiti ai dirigenti scolastici per assumere le decisioni organizzative necessarie a garantire lo svolgimento delle attività didattiche in presenza e in sicurezza.
Fino a quando non si affronteranno questi nodi, le linee ministeriali rischiano di restare un manuale delle belle intenzioni, che scaricano di fatto oneri e responsabilità sui dirigenti senza tuttavia fornire un quadro regolatorio certo, né poteri commisurati al compito.
In tutto ciò, sembra non si tenga conto del fattore tempo. Le linee guida ministeriali rimandano in larga parte a quanto già contenuto nel precedente documento del comitato tecnico scientifico della Protezione civile, pubblicato a fine maggio: era davvero necessario attendere un mese per fare proprie quelle indicazioni, facendo perdere altro tempo prezioso alle scuole? Piuttosto che assecondare un simile ritardo, sarebbe stata invece opportuna un’ecologia della comunicazione che troppo spesso è mancata all’attuale responsabile di viale Trastevere: le dichiarazioni quasi quotidiane e non di rado contraddittorie, la cattiva abitudine di presentare a stampa e social network i provvedimenti prima che questi si concretizzino in documenti ufficiali, finiscono per trasmettere l’impressione di una confusione dell’indirizzo politico e moltiplicare le incertezze del quadro, complicando il lavoro di quanti sono chiamati ad affrontare sul campo il complesso tema del rientro nelle scuole.
Che vi sia scarsa consapevolezza lo dimostra ancora una volta il moltiplicarsi dei tavoli e dei luoghi di discussione, peraltro di dubbia utilità: nelle linee guida ministeriali si prevedono una Cabina di regia Covid-19 presso il ministero, un tavolo nazionale con sindacati e Protezione civile per la redazione di un protocollo sulla sicurezza a scuola, tavoli regionali operativi presso gli uffici scolastici regionali (cui dovrebbero partecipare ben tre assessori regionali – istruzione, trasporti e salute – e varie altre figure, ma significativamente nessun dirigente scolastico), conferenze di servizi a livello provinciale o comunale, ma che potranno anche essere organizzate con ulteriori sottoarticolazioni.
Questa moltiplicazione dei luoghi di discussione allunga – ancora una volta – i tempi e soprattutto rappresenta un tic in perfetta contraddizione con la dichiarata intenzione di valorizzare l’autonomia delle istituzioni scolastiche: questa non ha bisogno di tavoli nazionali, regionali, provinciali, comunali (la consueta piramide che dal centro si allarga alla periferia), ma di un quadro normativo certo e di strumenti adeguati per realizzare l’offerta formativa nel proprio specifico (che è fatto di specificità territoriali, ma anche di scelte educative e opzioni pedagogiche), applicando la norma generale alla concreta realtà.
Autonomia e sussidiarietà si esercitano entro un quadro normativo generale chiaro. È grave il continuo riferimento a queste due espressioni, che ricorrono a più riprese anche nelle linee guida, senza però occuparsi di creare le condizioni affinché esse possano divenire principi ordinatori del sistema. In particolare, non ha alcun senso evocare l’autonomia delle scuole senza fare i conti con i tanti vincoli che ne limitano l’esercizio.
Se vogliamo davvero scuole autonome in un quadro sussidiario, occorrono una revisione profonda della governance delle scuole (le norme di riferimento per gli organi collegiali sono ancora i decreti delegati del 1974); l’assegnazione ai dirigenti di chiari poteri di organizzazione del lavoro e di individuazione del personale; un rinnovo contrattuale che preveda per i docenti maggiori risorse stipendiali ma soprattutto possibili sviluppi di carriera, uscendo dell’ipocrisia per cui i docenti sarebbero tutti uguali e la loro retribuzione deve crescere esclusivamente per anzianità; la ripresa e il consolidamento dei processi di valutazione delle scuole e dei dirigenti scolastici, strumento essenziale per sostenere il miglioramento continuo del sistema nazionale d’istruzione; la definizione di un quadro normativo essenziale attraverso un uso accorto dello strumento del testo unico. Se non ci si mette al lavoro tempestivamente e per atti concreti su questi temi chiave, fare appello alla autonomia delle scuole è ipocrisia e scaricabarile.