Cari ragazzi,

vi scrivo qualcosa che è diretta a tutti quanti voi, perché per me non sussiste differenza reale tra le due classi. La diversità di indirizzi (linguistico e scientifico) di interessi, di personalità si annullano di fronte al gigantesco debito di gratitudine che nutro per tutti voi, nessuno escluso.

Vi ringrazio per i numerosi messaggi e le belle parole che mi avete scritto al termine dell’esame. Le porterò per sempre con me insieme alle vostre storie, ai vostri occhioni stupiti, alla fatica nello starmi dietro, ai numerosi sbadigli, alle domande che celavano talvolta uno struggente desiderio di trovare un senso alla propria vita.



Avrei voluto quest’anno scavare più a fondo, raccontarvi degli anni di Aldo Moro e delle Brigate rosse o parlarvi di Heidegger (che probabilmente avreste stramaledetto per la sua difficoltà), di Bergson (che avreste amato), di Sartre e del suo buio. Avrei voluto guardarvi meglio, soprattutto chi aveva paura di me e mi girava al largo per questo. Avrei voluto stanare chi si ritraeva, perché non si sentiva all’altezza o perché spaventato dalla mia irruenza. Avrei voluto che capiste che quella, in definitiva, è la crosta del mio carattere e talvolta anche una posa.



Capisco, ora, che tutti questi miei “vorrei” sono l’evidente traccia del dissidio tra il desiderio di eternità e perfezione a cui tendiamo e il limite insuperabile che ci contraddistingue. E quindi mi tengo stretta questo conflitto, grazie a cui capisco che nessuno mio sforzo, da solo, basta a rendermi felice. Ho bisogno di Altro. Siete stati voi a farmelo capire, risvegliando dal letargo il mio cuore arrugginito. Come scrive Pavese, è un «mistero perché non ci basti scrutare e bere in noi e occorra riavere noi dagli altri».

Ora che gli esami sono conclusi, potete sentirvi soddisfatti o amareggiati. Ma non sentitevi definiti dall’esito dei vostri esami e da quelli futuri che dovrete affrontare. Il mistero della vostra vita non può essere misurato da una prova. Valete molto di più dei vostri insuccessi e delle vostre fragilità. Non fatevi schiacciare dal timore del futuro, dalla persistente preoccupazione di non aver trovato ancora una vostra vocazione.



Potete seguire dei validi indizi: la bussola che vi indicherà il sentiero da seguire sarà la profonda letizia del cuore, la vostra felicità interiore. Siate fedeli sempre al vostro cuore e alle sue pretese. Non sotterrate il vostro desiderio di felicità, solo quello permetterà alla vostra vita di essere una continua scoperta.

Se rimarrete attaccati a questo grumo infallibile che è il cuore e alla sua sete inestinguibile di risposte capirete, un giorno, le parole di Giovanni Paolo II: “In realtà è Gesù che cercate quando sognate la felicità, è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna”.

Ora che l’esame è finito la fine dei ruoli permetterà più liberamente, a chi lo vorrà, di continuare il rapporto.

Vi faccio il mio più grande in bocca al lupo e che la vita non tardi di rispondervi.

La vostra prof.