Il fuoco alle polveri lo dà Repubblica. Titolo di oggi: “Scuola in rivolta”. Quello di ieri: “Ai prof salari variabili. Valditara: stipendi differenziati su base territoriale”. In poche ore si è scatenato un dibattito su qualcosa che il ministro dell’Istruzione, in realtà, non ha posto in questi termini. Valditara non ha parlato di differenziare gli stipendi tra Nord e Sud. Durante un webinar, a domanda di Bei (Repubblica) e De Angelis (Huffpost) sui fondi per la scuola, ha risposto che bisogna “trovare nuove strade, anche sperimentali, di sinergia tra il sistema produttivo, la società civile e la scuola, per finanziare l’istruzione, oltre allo sforzo del governo”. La soluzione potrebbe essere – ha continuato Valditara – “la creazione di un fondo perequativo centralizzato e ministeriale che ci consenta, con i fondi attratti per un liceo di Brescia, di finanziarne anche uno a Palermo o un istituto professionale a Caserta”.
Nelle sue considerazioni, il ministro aveva però osservato che “chi vive e lavora in una regione d’Italia in cui più alto è il costo della vita potrebbe guadagnare di più”. Ieri pomeriggio, di fronte al montare delle polemiche, Valditara ha precisato: “Non è mai stato messo in discussione il contratto nazionale del mondo della scuola, non ho mai parlato di compensi diversi fra Nord e Sud; ho solo riportato una problematica sollevata da alcune regioni riguardo il differente costo della vita nelle diverse città italiane”.
Ne abbiamo parlato con Anna Maria Poggi, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Torino, molte pubblicazioni all’attivo dedicate agli apprendimenti e al diritto all’istruzione.
Dunque: alla scuola servono più fondi e lo Stato da solo non ce la fa. Come commenta questa apertura al privato? Dobbiamo accoglierla o temerla?
Ho colto nelle affermazioni del ministro un duplice piano: quello di un fondo ministeriale centralizzato ad uso perequativo e quello dell’eventuale reperimento di risorse “altre”. L’una e l’altra cosa mi paiono due buone idee. Ovviamente i fondi che sarebbero attratti da privati, rispetto allo Stato, dovrebbero, a mio avviso, essere utilizzati non per spese essenziali del sistema.
In concreto?
Non pagherei i docenti con soldi privati, mentre si potrebbe chiedere ai privati, ad esempio, risorse per servizi: palestre, mense, e altro.
Però, come ha detto Valditara, lo Stato non rinuncerebbe alla sua funzione, quella svolta da un “fondo perequativo”.
Un fondo perequativo mi pare una buona idea. Del resto abbiamo esempi di privati che investono nella cosa pubblica, ad esempio nella cultura. Il punto è come vengono reperite le risorse – senza vincoli di destinazione, per mera liberalità – e poi come vengono utilizzate, e qui ribadisco l’esempio fatto sopra.
Oggi non appena si parla di “differenze” – che nella scuola italiana sono profonde, da sempre – per un riflesso ormai condizionato le si collega ad “autonomia”. Autonomia differenziata. Sono associazioni corrette?
L’autonomia è di per sé differenziazione, cioè possibilità di adattare talune regole alla propria realtà. È evidente che tale differenziazione non può toccare aspetti che hanno a che fare con quel minimo di uniformità che è indispensabile perché si garantisca il dettato costituzionale, secondo cui la Repubblica garantisce scuole statali in ogni parte del territorio nazionale. Dunque l’autonomia non tocca lo status dei docenti, le garanzie dell’accesso alla scuola, le provvidenze, eccetera. Sarebbe tutto molto più semplice se fossero stati fissati – e garantiti economicamente – i Lep (livelli essenziali di prestazione, ndr) nell’istruzione.
In questo caso?
A quel punto, una volta garantito l’essenziale, l’autonomia avrebbe vita più facile per essere realizzata e non susciterebbe le riserve che oggi, purtroppo, molto spesso suscita.
Lo stesso Valditara, nel suo primo intervento, ha detto che “chi vive e lavora in una regione d’Italia in cui più alto è il costo della vita potrebbe guadagnare di più”. Quindi sono le differenze regionali a porre il problema degli stipendi differenziati. Come procedere?
Credo che il problema andrebbe affrontato all’interno della contrattazione nazionale, o della contrattazione integrativa. Sono certa che il ministro questo intendesse.
La differenziazione negli stipendi sarebbe costituzionale?
Se venisse affrontata dentro la contrattazione, sarebbe conforme alle regole costituzionali.
L’Anp sarebbe favorevole a differenziare gli stipendi, Landini ha subito detto “no alle gabbie salariali”. La scuola è un vasto mondo. Lei sarebbe pro o contro e perché?
Personalmente credo che sarebbe necessario affrontare il tema, anche per motivare i più giovani ad una carriera che proprio per eccessivi appiattimenti non viene più considerata professionalizzante. Di tentativi in passato ne sono stati fatti, ci sono studi e ricerche, anche nel senso di differenziare, appunto, i profili professionali. Non ci vedo nulla di male; nel pubblico ci sono parecchi esempi di profili professionali diversi cui corrispondono anche retribuzioni differenziate.
(Federico Ferraù)
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