Come prevedibile, la decisione di chiudere l’Istituto comprensivo Iqbhal Masih di Pioltello per festeggiare la fine del Ramadan (che quest’anno sarà il 10 aprile) ha scatenato molte polemiche.

Secondo il dirigente scolastico della scuola Alessandro Fanfoni, “a Pioltello abbiamo classi dove negli anni scorsi in occasione della fine del Ramadan, di fatto, venivano a scuola in tre o quattro.  I bambini di fede islamica sono la maggioranza e nonostante le linee guida sull’inclusione consiglino di formare classi con non più del 30% di stranieri, noi arriviamo al 43% perché questa è la nostra utenza. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a questi numeri e alla realtà”. Secondo la sindaca Pd di Pioltello (36mila abitanti, alla periferia di Milano) Ivonne Cosciotti, la chiusura “è un atto di civiltà”, mentre contro la chiusura si schierano la Lega, da Salvini all’eurodeputata Silvia Sardone (“Una decisione preoccupante, un precedente particolarmente rilevante”), e in generale tutto il centro-destra.



Il ministro Valditara – pur riconoscendo le norme dell’autonomia scolastica – ha chiesto una relazione, sottolineando che il calendario scolastico lombardo lo decide la Regione Lombardia e non può essere “à la carte”.

Se è vero infatti che gli istituti hanno facoltà di decidere in proprio (ma con un preavviso che in questo caso non ci sarebbe stato) alcuni giorni di vacanza all’anno purché quelli di lezione superino i 200, è evidente infatti che si tratta di una scelta importante e che farà “giurisprudenza”, un caso di costume prima ancora che di cronaca.



Un caso, tra l’altro, di cui si parla proprio oggi 19 marzo, festa di San Giuseppe, riconosciuto giorno festivo fino al 1977 quando fu abolito con la legge n. 54 che “bonificò” le feste cattoliche come quelle dell’Ascensione, del Corpus Domini, l’Epifania e SS Pietro e Paolo, oltre al 2 giugno, ricorrenza poi “ripescata” – insieme all’Epifania – dopo alcuni anni, ma ai danni del 4 novembre che non è più considerato giorno festivo e che va “recuperato” la prima domenica di novembre.

Ma c’è una riflessione più profonda legata alla decisione di Pioltello, ovvero l’evidente progressivo scivolamento verso una società non solo interetnica e interconfessionale, ma in cui alcuni valori fondanti della comunità – di cui uno è l’aspetto religioso – si stemperano, mentre questo non avviene per la comunità islamica, che proprio dalla sua auto-chiusura verso l’esterno e dall’ambiguità in cui la si lascia continuare trova la sua forza di coesione.



La scuola Iqbbhal Masih, per esempio, ne è una conferma: la dedica è a un giovane attivista contro il lavoro minorile, ma la comunità islamica non si è mai espressa sulle violenze domestiche ai danni delle minori che non accettano le scelte loro imposte.

Sarà quindi anche vero che a Pioltello ci sono molti ragazzi di famiglie musulmane, ma tanti di loro non sono osservanti e quindi la fine del Ramadan è una ricorrenza al pari di quella dell’Immacolata che tutti festeggiano con un giorno di vacanza, anche se non sono minimamente credenti e non partecipano quel giorno ad alcun evento religioso. Anche questa è un’ipocrisia, ma è così che si crea un progressivo, lento ma costante cedere terreno sul piano dell’identità che per molti è fatale, normale o addirittura “segno di civiltà” come sostiene la sindaco Pd di Pioltello, ma per altri no, e questo (anche al di fuori dei tornaconti elettorali) deve essere a base di una revisione critica di come vengono progressivamente cancellati i nostri valori comuni.

Guardiamoci intorno con serenità: non serve ghettizzare, anzi, ma è ben strano che da una parte si invochi una società “laica” e integrata e poi si favoriscano in qualche modo connotati sociali che identificano la diversità, con lo sfaldamento conseguente, appunto, dei caratteri identificanti di una comunità preesistente.

Nessuno sostiene che un musulmano non possa essere un bravo cittadino, ma se è coerente – oltre che festeggiare il Ramadan – non può integrarsi fino in fondo perché se accetta davvero il suo credo religioso si metterebbe automaticamente in contrasto con alcune delle nostre leggi, dal diritto penale a quello di famiglia.

Se un cattolico romano vive in un Paese islamico deve adeguarsi alle leggi del Paese ospite, non può osservare le proprie se non nell’intimo della sua coscienza. Questo perché quel Paese vuole tutelare e difendere la propria identità, mentre da noi si sostiene progressivamente l’esatto contrario.

Il consiglio di istituto che ha avallato il provvedimento di Pioltello non era a maggioranza musulmana, anzi, e forse quella decisione è stata presa per praticità, menefreghismo, sicuramente senza rendersi conto del “precedente” e senza una discussione adeguata. Ma se non si può avere la presunzione di sostenere acriticamente che questo sia giusto o sbagliato, certo non ci si può allora lamentare per le conseguenti mille problematiche che nascono e crescono nel nostro Paese proprio per questa incoerenza e ipocrisia di fondo, questo rinvio continuo di chiarezza soprattutto nei confronti della comunità musulmana che – anche dal caso di Pioltello – trova una sua significativa conferma.

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