La scelta fatta dalla direzione dell’istituto comprensivo Iqbal Masih di Pioltello, in provincia di Milano, di sospendere le lezioni in occasione della fine del Ramadan è il punto di arrivo di una presenza sociale e culturale islamica sedimentatasi nel corso degli anni. Sotto quest’aspetto una tale scelta appare del tutto scontata, decisa sulla base di evidenze di fatto, dinanzi alle quali ogni opposizione risulta semplicemente fuori luogo. Ogni ondata immigratoria comporta infatti la presenza di comportamenti e stili di vita diversi, afferenti a rappresentazioni, credenze e valori particolari. Nei singoli universi morali che caratterizzano ogni comunità di immigrati la dimensione religiosa riveste un aspetto rilevante in quanto, molto spesso, ne costituisce la chiave fondativa, la ragione originaria del suo essere “così e non altrimenti”.
Di fatto ogni ondata immigratoria preme inevitabilmente per ottenere tanto degli spazi di riconoscimento per le proprie celebrazioni religiose, quanto il riconoscimento dei tempi significativi che scandiscono il suo calendario. Sottoscrivere tali evidenze appare tanto più scontato quanto più il progressivo pluralismo che attraversa la società contemporanea confina ogni possibile protesta nell’angolo di “regressioni identitarie”, attitudini puramente reattive, prive oramai di qualsiasi ragione d’essere.
Vale tuttavia la pena di spingere un tale realismo qualche passo più avanti per rendersi conto della sua effettiva portata.
Spazi e tempi, luoghi di culto e feste religiose, non si realizzano infatti in una dimensione genericamente “a disposizione”, ma si sovrascrivono su termini già esistenti e su tradizioni già operanti. La scelta di rendere visibile la dimensione simbolica caratterizzante la cultura di ogni singola comunità di immigrati non solo si sovrappone ad un universo già esistente, ma decide implicitamente la natura stessa di quest’ultimo.
Di conseguenza la scelta della direzione della scuola elementare di Pioltello di concedere un giorno di festa in occasione del Ramadan non è solo il riconoscimento di una presenza di bambini di fede islamica i cui genitori, celebrando la festività prescritta, verosimilmente non li condurrebbero a scuola. Una tale scelta implica anche, inevitabilmente, la ridefinizione dello spazio simbolico preesistente nel suo contenuto. Il calendario scolastico, da recettore di una normativa specifica storicamente sedimentata e istituzionalmente definita, diventa adesso il contenitore di tutte le ridefinizioni possibili, originate dalla presenza di fedi diverse presenti all’interno della collettività scolastica.
È certamente possibile ritenere la presenza di quest’ultime un arricchimento culturale. Ma solo a condizione di avere già deciso di passare da una scansione dei tempi regolata da accordi istituzionali e tradizionalmente collegata alla tradizione religiosa maggioritaria, ad una nuova calendarizzazione aperta invece a tutte le tradizioni possibili. Il problema – come è facile intuire – non è solo di carattere pratico, in quanto si potrebbero festeggiare, accanto al Ramadan, la Festa di primavera cara alla tradizione cinese e quella dello Yom Kippur propria della tradizione ebraica, ma è anche un problema di sostanza: cioè di ciò che la scuola, di fatto, sia.
Una scuola “contenitore”, pronta a riconoscere tutte le culture, compie una sottile operazione di dogmatismo ideologico, dove l’indiscutibile omogeneità sostanziale di tutte le culture, ciascuna delle quali ha la propria legittimazione, occulta la profonda difformità sociale che ciascuna di queste presenta sul piano storico. Infatti se tutte le culture hanno pari dignità, ed a maggior ragione le hanno le religioni che spesso ne costituiscono l’anima, queste stesse culture non hanno cronologicamente la stessa storia, né hanno svolto lo stesso ruolo nella società nazionale così come questa si è costituita.
La sedimentazione del patrimonio simbolico di ogni singola cultura, esattamente come il linguaggio, è il risultato di un processo di lungo periodo e non è a disposizione dello spirito dei tempi e delle maggioranze di una singola epoca. Così come appare semplicemente ridicolo il tentativo grossolano di modificare il linguaggio, declinando le professioni al femminile in nome della parità di genere, così appare ridicola la sovra-iscrizione di feste religiose sul calendario ordinario in nome della tolleranza tra culture. In un caso come nell’altro i vertici burocratici (laici o ecclesiastici che siano) mettono le mani in un universo di mondo vitale che non è a loro disposizione.
La riduzione della società locale ad un semplice contenitore, costantemente implementato dai nuovi arrivi, è alla base di un suo progressivo assottigliarsi sul piano del legame sociale. Da unità morale alla costante ricerca dei propri principi comuni e dei valori condivisi, questa precipita nell’essere la semplice coesistenza di comunità tra loro distinte, il contenitore senza contenuti, l’area di parcheggio per altrettanti universi che serenamente si ignorano.
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