Caro direttore,
è appena finita un’estate in cui la curva dei contagi si è vorticosamente alzata e l’età degli infetti invece si è abbassata, colpa – si dice – degli assembramenti in luoghi chiusi come le discoteche. Che cosa succederà nell’avvio dell’anno scolastico?
Mi sono letto le “Indicazioni operative”, recentemente diramate dal gruppo di lavoro costituito tra Istituto superiore di sanità, ministero della Salute, dell’Istruzione e altri enti. Non posso a fare a meno di notare l’onestà intellettuale con cui lo stesso documento certifica la situazione incerta dovuta alla novità del coronavirus ribattezzato Sars-CoV-2: “non permette una realistica valutazione…”, “non è predicibile…”, “non è noto al momento…”. Tante, dunque, sono le dichiarazioni di incertezza contenute nel profluvio della macchina tipografica dello Stato italiano che si è abbattuta sulla vita quotidiana di tutti noi cittadini.
Leggendo un recente articolo di Gianni Zen sono rimasto colpito da questa frase: “L’ultima chicca è una circolare (un po’ pomposa) a firma Bruschi, con allegato un nuovo verbale del Cts”. Mi metto alla disperata ricerca della famigerata circolare vergata da Bruschi: egli siede sullo scranno quale capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione, presso il MI, che ha da poco “divorziato” da UR, cioè adesso è solo il ministero dell’Istruzione, mentre il dicastero dell’Università e Ricerca è scorporato. Sarà l’unico “sdoppiamento” che si è riusciti a fare, se non arriveranno quelli delle classi-pollaio?
Ha ragione dunque il preside Zen, che quest’anno andrà in pensione dopo una lunga esperienza nel mondo della scuola: questa nota, indirizzata ai “cari dirigenti”, è un’autentica chicca!
Sono un docente di lettere: ho insegnato a scrivere in lingua italiana dalle medie all’università; penso, anzi spero, di parlare con cognizione di causa. Non vorrei trovarmi nei panni dei “poveri” presidi delle scuole italiane, quando si sono trovati di fronte a un testo che emula il periodo boccaccesco, privo dell’armonia ciceroniana. Prolisso nell’esposizione e arzigogolato nello stile, l’estensore della nota pare compiacersi – per stile ed esposizione – del prendere le distanze dalla situazione emergenziale in cui versano i dirigenti scolastici alle prese con i preparativi della riapertura della scuola, se lo stile scelto riverbera concettualmente l’aderenza e l’adesione a quanto sta accadendo. Il preside Zen giustamente rileva che “in Francia sono bastate poche paginette, in tutto solo sette, per dire cose che in Italia a fatica ritroviamo sparse in centinaia di pagine”.
Ecco, la nota di Bruschi non è coraggiosa e rivoluzionaria, come spesso – e questo bisogna riconoscerglielo – ha fatto nelle sue battaglie per migliorare alcune storture della scuola italiana dovute a logiche vetero-sinistrorse; ricalca purtroppo una tradizionale elefantiasi della comunicazione ministeriale, di cui la scuola del 2020 non ha sinceramente bisogno.
Dunque si operi un cambiamento a partire dalla stilistica comunicativa del MI, togliendo quel “rumore di fondo” di dinamiche ministeriali di Trastevere, che hanno fatto sentire spessissimo la distanza, anzi il distanziamento, tra la scuola reale e chi sedeva nei luoghi dove si prendono le decisioni politiche e tecniche. Si vada dunque all’essenzialità, alla rapidità, alla sintesi della comunicazione per far percepire ai 25 lettori la concretezza e la volontà del fare.
Il primo banco di prova è stato dunque – anche senza i banchi con le rotelle e le sedie, che tutti i ragazzini attendono con somma trepidanza – il 2 settembre, quando in molte scuole si è iniziato ad attuare il “riallineamento” degli apprendimenti nei corsi di recupero che sono non retribuiti per i docenti che li svolgono. Stranamente non si parla di riallineare le “competenze” tanto sbandierate dalla retorica ministeriale.
Siamo quasi al paradosso della contingenza scolastica: Bruschi, diventando esegeta della legge repubblicana e facenti le funzioni dello scoliasta dei tempi antichi, ha fatto infuriare tutti i sindacati della scuola, ricompattando la loro divergenza e divisione: “Nel fare ciò”, scrive Bruschi, “la norma ha evidenziato come esse debbano intendersi quale attività didattica ordinaria (articolo 1, comma 2), da collocarsi, pertanto, nell’alveo degli adempimenti contrattuali ordinari correlati alla professione docente e non automaticamente assimilabili ad attività professionali aggiuntive da retribuire con emolumenti di carattere accessorio”.
Al di là delle norme contrattuali e legislative che i sindacati hanno richiamato per delegittimare il “chiarimento” interpretativo “in scrupoloso rispetto della normativa vigente”, rimane, nel sottofondo rumoroso, la mancanza di chiarezza della lingua italiana di leggi, normative eccetera, per il quale la verbosità non fa altro che ingigantire una supposta discrezionalità, anche dei giudici, che però – va detto – esercitano uno dei tre poteri costituzionali. Qui si tratta dell’espressione “attività ordinaria”.
Infine, “il Cts”, si legge nell’incriminata nota come chicca richiamata dal preside Zen, “ha ribadito che la misura del distanziamento fisico, inteso come distanza minima di un metro tra le rime buccali degli alunni, rimane uno dei punti di primaria importanza nelle azioni di prevenzione del contenimento epidemico”. Mi vedo già in classe con il metro del sarto a misurar le distanze tra le rime buccali delle mie classi, e ciò sarà facilitato dallo spostamento con i banchi o sedie con le rotelle; gli alunni si potranno muovere in aula come pedine al gioco della dama!
Spiegherò, certo, davanti alle facce dei miei alunni, con la giusta distanza tra cattedra, banchi e sedie, le varie tipologie di rime della tradizione poetica italiana: rima alternata, rima incrociata, rima incatenata, rima ripetuta, rima invertita. Epperò dovrò solo stare attento, per via del contagio da Covid-19, durante l’intervallo o il cambio d’ora, alla rima baciata. Tra le effusioni ormonali dei teenagers. Ovviamente senza trascurare la rima buccale.