Uno dei più gravi strascichi del Covid nella scuola è il deficit di scolarizzazione evidente in moltissime classi. Se alla scuola primaria non si sono interiorizzate regole e routines dello stare in classe diventa molto complicato impararle successivamente.
Si è detto che le lacune disciplinari siano il più grave lascito del Covid a livello di apprendimento, ma in base alla mia esperienza di docente nella scuola media ritengo che non sia così. Non nego che le lacune disciplinari siano molte ed evidenti, ma ritengo che queste, con un lavoro certosino e disteso e strategie opportune si possano colmare, se non del tutto, in buona parte. Diversa è la situazione che riguarda la scolarizzazione: nell’ultimo triennio si è notato che gli alunni sono sempre più gravemente indisciplinati e se si considera che in prima media siamo in età preadolescenziale in cui i primi moti di ribellione fanno capolino, si capisce quanto sia difficile educare allo stare in classe se mancano i presupposti fondamentali.
Gli studenti si comportano come se non avessero l’abitudine alla vita di classe: intervengono senza rispettare il turno di parola, si alzano senza permesso e mangiano e bevono quando ne sentono il bisogno, già dalla prima ora di lezione, per non parlare delle richieste di andare ai servizi (incontrollate e numerosissime). Il bello è che quando le regole vengono richiamate la reazione immediata è lo stupore: non capiscono il senso del rimprovero. C’è davvero da mettersi le mani nei capelli e portare avanti le attività programmate è davvero un’ardua scommessa.
Viene naturale pensare che per correre ai ripari si debba agire con estrema severità: richiami, note, restrizioni (niente ricreazione, punizioni con maggiorazione di compiti a casa) ma la cosa non funziona, perché non sortisce alcun effetto. Si scopre poi, casualmente nel mio caso, e grazie ad una certa dose di incoscienza, che se si esce dall’aula le cose funzionano. Ho provato a proporre con la collega di arte e l’intervento di un disegnatore professionista un laboratorio per realizzare una storia illustrata sulla vita di un insetto e abbiamo accompagnato la classe lungo il greto del fiume. I ragazzi in ambito esterno erano più controllati, attenti e finalizzati al compito.
A novembre poi mi sono offerta di accompagnarli in gita a maggio, confidando in un miglioramento della situazione (che non c’è stato) e maledicendomi fino al giorno prima della partenza per una simile idea balzana. La gita, che prevedeva un giro per Lucca accompagnati da una guida e una biciclettata sulle mura, è stata inaspettatamente un successo: fuori dall’ambiente costretto ed angusto della classe gli insegnanti sono diventati il riferimento naturale a cui guardare e obbedire, i compagni risorsa e persone di cui prendersi cura.
Ho pensato a un caso isolato, a uno stato di grazia, ma poi, senza altri accompagnatori, ho portato la classe in biblioteca per la conclusione di un altro progetto che sembrava non essere stato troppo gradito (la bibliotecaria stessa era un po’ avvilita) e ancora una volta un luogo insolito e la proposta di un lavoro di gruppo in spazi adeguati dove si realizzava una sorta di Tg in cui fare un servizio sui libri letti ha compiuto il nuovo miracolo. Tutti impegnati seriamente nel compito affidato, nessun litigio od opposizione e ciascuno che interpretava la propria parte per la riuscita comune (anche i più timidi, i più svogliati e i più confusionari).
Il prof. di motoria ha poi confermato questa mia impressione: fuori dalla classe gli alunni diventano gestibili e ascoltano per fare (come testimonia la lezione di Triathlon presso il campo sportivo).
Fatta questa scoperta e confermata dagli eventi non possiamo certo abolire il lavoro in classe. È vero che la nostra scuola è dotata di un’aula all’aperto e il tempo è clemente, ma siamo anche a maggio e una soluzione praticabile e duratura bisogna pur escogitarla.
Considerando che, insegnando italiano, mi trovo ad avere blocchi di tre ore (continuative), devo necessariamente differenziare le attività ogni quarto d’ora (come prevede la lezione segmentata) ma non è ancora un modello che soddisfa pienamente. Sto provando a convincerli che è meglio per loro se si comportano adeguatamente e che ci guadagnano in tranquillità, clima disteso, tempo da utilizzare per piccole pause se il lavoro proficuo è di 15 minuti, ma sono piccoli ancora e sono tanti. Soprattutto la voglia di far impazzire l’insegnante è percepita come una vittoria irrinunciabile, così come la soddisfazione di poter dire “Siamo la classe peggiore dell’istituto, non temiamo neanche la vicepreside”. Evidentemente i miei argomenti sono ancora troppo deboli. Come dar loro torto?
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.