“Ho sempre cercato di fare delle mie lezioni un gesto di unità vitale” ha detto tante volte Gilberto Baroni, insegnante di lettere e presidente di Diesse Firenze, a noi del comitato didattico dei Colloqui Fiorentini, cercando di farci immedesimare, di trasmetterci il segreto di questo convegno che da vent’anni infiamma la storia dell’insegnamento della letteratura nella scuola italiana. Un gesto intero, integrale, in cui ogni particolare risponde ad un significato pensato, voluto, cercato e si tiene insieme, unito a tutti gli altri particolari, attorno a questo centro di gravità.
Questo è il significato di gesto culturale, di cultura, così come Luigi Giussani ce lo ha da sempre insegnato. La cultura come quella dimensione in cui l’uomo rapporta ogni aspetto della vita (dal mangiare, al dormire, al lavorare, all’amare) a sé e all’ideale che muove la sua vita, che egli sorprende come centro della sua vita e dell’esistenza tutta.
E il centro di gravità dei Colloqui Fiorentini è sempre stato l’incontro personale che il suo fondatore ha avuto con il movimento di Comunione e liberazione e la persona di Giussani. Dalla certezza che questo incontro era una possibilità di riscatto per sé e per ogni uomo, per l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, è nata quella “ingenua baldanza” che lo ha portato a proporre a tutti gli insegnanti, da qualsiasi storia e cammino provenissero, un modo di insegnare, di incontrare studenti e autori che è divenuto fin da subito una cultura dell’insegnamento. Una cultura che ha avuto la presunzione di essere una novità assoluta, di essere un’alternativa alla cultura dominante. Non per l’arroganza di chi pensa di essere migliore, ma per l’evidenza di una convenienza sperimentata, che non si vedeva altrove e altrimenti.
Alla prima edizione dei Colloqui Fiorentini del 2002, dedicata a Eugenio Montale, parteciparono 450 studenti e docenti e a noi sembrava già di sognare (ce ne aspettavamo al massimo un centinaio). Ma il presidente fin da allora mi disse: “Un giorno saremo più di 3mila!”. Al tempo era un pensiero inconcepibile! Due anni fa eravamo 4mila all’edizione su Leopardi e da anni ormai dobbiamo fare (Covid permettendo) il convegno al Palazzetto dello sport di Firenze, perché non esistono strutture altrettanto capienti.
Non si tratta di sterile vanagloria o di snocciolare, in occasione dei vent’anni, numeri e risultati. Per me questo aneddoto fu decisivo per comprendere la visione che c’è dietro i Colloqui Fiorentini: non una nostra capacità organizzativa o una nostra genialità innovativa, ma la certezza di aver incontrato il segreto del mondo. Del mondo e quindi anche dell’insegnamento della letteratura. Soprattutto perché la letteratura è l’espressione di quel cuore dell’uomo che nell’incontro con Cristo vede esaltate tutte le sue esigenze di felicità, bellezza, amore, verità. Allora la letteratura (era evidente!) era la nostra grande alleata. Grazie alla letteratura, il cuore si risveglia, torna a prendersi cura di sé, si spalanca alla domanda di senso, a quelle domande a cui con paura ci accorgiamo di non avere risposta e che quindi accantoniamo in fretta. A meno che uno non ci si faccia incontro; uno che, prendendoci per mano, ci conduca dentro il cuore della domanda, dentro la nostra propria umanità. Qualcuno, cioè l’autore; qualcuno, cioè il docente!
Nei video che gli studenti iscritti ai Colloqui inviano per porre domande o fare interventi al convegno (in questa nostra edizione in streaming), i ragazzi parlano tutti di stupore per aver scoperto per la prima volta due cose: 1) la letteratura è qualcosa che ha a che fare con loro, che parla di loro, anche se a scrivere è Dante (autore di questa ventesima edizione), vissuto più di settecento anni fa; 2) grazie all’incontro con gli autori, hanno scoperto una dimensione di se stessi che prima ignoravano del tutto.
Ci sorprende sentire queste testimonianze, perché uno pensa: come è possibile che una cosa tanto ovvia (che le opere degli autori abbiano a che fare con me) sia registrata come una scoperta inaudita (per dirla con Pavese)? Eppure è così, povera scuola italiana! Ma il fatto è che l’avvenimento cristiano rende sperimentabile un modo di vivere che, ci diceva sempre Giussani, dovrebbe essere naturale, quotidiano, eppure non accade mai. Non accade mai. Tanto che, quando accade, strappa un grido di stupore. Una ragazza nel suo video usa il termine “matta”: “Quando i miei compagni vedono che partecipo ai Colloqui Fiorentini, pensano che io sia un po’ matta”. Perché chi potrebbe immaginare che partecipare ad un convegno di letteratura significhi andare alla scoperta di se stessi?
Quando accade ci si trova proiettati in un nuovo mondo, una nuova possibilità, che non si attendeva più: “Grazie, perché mi avete ridato la speranza e il coraggio per tornare a insegnare” ci disse alla prima edizione una docente, che oggi, dopo vent’anni, è con noi nel comitato didattico del convegno. “I giorni dei Colloqui sono stati i giorni della rivelazione divina: è impossibile ignorare come ci abbiano cambiate… Nessuna di noi è tornata alla vita di sempre senza difficoltà”, ci scrissero alla sesta edizione su Pavese due studentesse di Castrovillari. “Non posso negare che i giorni dei Colloqui sono stati l’unico momento della mia vita, in cui mi sono sentito completamente libero”, ci confessò un ragazzo che aveva partecipato alla decima edizione su Manzoni e che qualche anno dopo incontrammo, quando ormai aveva finito le scuole e faceva il barista.
Sono testimonianze, parole, volti, nomi di un cammino di consapevolezza sempre più denso e che scava sempre più in profondità quell’avvenimento iniziale, quell’incontro che ci ha presi tutti e che sta all’inizio del nostro essere uomini e insegnanti. “Da un avvenimento una storia. Una compagnia di insegnanti all’opera” è lo slogan che Diesse Firenze ha scelto quest’anno per tutti i suoi convegni: da quell’inizio una storia che giunge fino ad oggi. È un cammino di conoscenza, di consapevolezza, di scoperta, di stupore: è un evento culturale.
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