“È semplicemente quanto di più umano abbia vissuto nell’ultimo periodo. Mi rassicura sapere che le mie insicurezze sono anche altrui e che in fondo quella solitudine, quel dispiacere, quella malattia, se nell’immediato sono stati devastanti, poi nei loro angoli più misteriosi hanno stravolto qualcosa anche in positivo, inteso come momento di maturazione e consapevolezza… Ci sarebbero migliaia di cose da dire, ma credo che umano sia l’aggettivo più adatto. È un colloquio con l’umano che è in me e negli altri.”
Questo il giudizio di una studentessa musulmana della Sardegna, dopo aver partecipato ai Colloqui Fiorentini (dal 17 al 19 marzo). Riprendendo la sua conclusione, “ci sarebbero migliaia di cose da dire” su questa ventunesima edizione del convegno, ma ci sono alcune parole che racchiudono un mondo e basta usare quelle: umano.
D’altra parte il sottotitolo dei Colloqui Fiorentini è proprio quel “Nihil alineum” che riprende Terenzio: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” (Sono un uomo, niente che appartenga all’uomo mi è estraneo). E allora anche quest’anno è stato un colloquio con l’umano, così ferito, così depresso da due anni di Covid, così sanguinante per il dramma che tanti nostri giovani si caricano sulle spalle quotidianamente, per lo sfascio delle famiglie, per l’inquietudine così raramente intercettata dagli adulti, che si trasforma quindi in angoscia; per l’ansia di destino, di futuro, per il timore che la promessa di felicità resti delusa.
Un umano che tuttavia grida tutta la sua esigenza e non appena si sente ascoltato si spalanca, desideroso di capire, di guardare, di andare al fondo. Un umano che, proprio perché così sofferente, è capace di riconoscere la vera felicità, senza confondersi, come un assetato di fronte all’acqua.
Un umano che pone domande: “Ho capito, grazie a Buzzati, che il mistero è un elemento importante della vita. Ma fa anche paura. E vorrei capire come possiamo accoglierlo e non temerlo”, dice Francesco dalla Toscana.
Un umano che avverte tutta la profondità delle sue dimensioni, come dice un’altra ragazza dalla Sardegna: “Sono state molte le cose che mi hanno colpita veramente tanto, infatti sono in bella vista nel mio quadernino degli appunti cerchiate e ricerchiate. Però è una in particolare ad avermi, non so, toccata, in quanto richiama una sensazione che provo spesso: la mancanza di qualcosa, che in alcuni attimi quasi scompare, ma allo stesso tempo altre volte è come se questo vuoto si amplificasse”.
Un umano che riconosce chi gli è veramente amico: “Buzzati si comporta da vero amico, i suoi testi sono davvero un mettersi davanti alla realtà e dire, ok, questo è quello che devo fare. Ti insegna ad approcciarti in maniera corretta alle situazioni difficili, che ci mettono davanti a un bivio, proprio come farebbe un amico fidato”.
E ancora: “A me è piaciuta particolarmente la prima relazione. Però devo dire che è davvero una grande famiglia, di cui ti senti partecipante attivo”.
Mi diceva un docente, che al termine dei lavori si è intrattenuto con i suoi studenti a discutere sulle relazioni cui avevano assistito, che i ragazzi non volevano smettere, continuavano ad intervenire, per una fame di confronto, per un desiderio di poter dire la loro, dopo tanto lavoro di studio svolto sull’autore: “È bello vedersi coinvolti, poiché ci rende fieri di quello che abbiamo fatto! I Colloqui di quest’anno hanno superato le aspettative”, dice una studentessa campana.
Ed era un’edizione in streaming! Tutti noi aneliamo a poter tornare a fare i Colloqui in presenza, eppure neanche la distanza impedisce l’imporsi di un’esperienza tanto coinvolgente da potersi definire solo come evento.
Ed anche per i docenti i Colloqui Fiorentini sono la possibilità di una rinascita: “Ieri sono andata a casa piena di una ricchezza che stento a rielaborare”. Piena di ricchezza, perché l’umano di Buzzati ci ha parlato di mistero, di promessa, di attesa, di felicità, di desiderio; ci ha detto che tutta la vita è mistero, non solo quanto ci rimane ignoto o oscuro: anche le montagne sono mistero, anche l’amore è mistero, anche la bellezza del mondo; anche una goccia d’acqua è mistero! E di intercettare questo mistero siamo capaci. Anzi, solo quando lo intercettiamo e ci mettiamo in ascolto, la vita vale la pena di essere vissuta.
E Buzzati ci ha detto che siamo capaci di sentire la bellezza come un richiamo, la chiamata ad un appuntamento, perché “Uno ti aspetta”.
Non solo l’uomo, con il suo desiderio inconfessato, attende che il mistero si sveli, ma anche il mistero dà al cuore dell’uomo un appuntamento, nella realtà, e lo attende. Attende che si incammini per giungere più in là, al cuore della realtà, dove lo aspetta la felicità piena.
Il mistero è un califfo che manda il suo messaggero ad invitare l’uomo al suo palazzo, come nel racconto Ombra del sud, e gli chiede solo di seguirlo: “Che cosa voleva da me? Dove voleva condurmi? […] La faccenda non è chiara ma mi pare di aver capito che tu vorresti condurmi più in là, ogni volta più in là, sempre più al centro, fino alle frontiere del tuo incognito regno. […] Tu vuoi soltanto farmi capire che il tuo monarca mi aspetta in mezzo al deserto, nel palazzo bianco e meraviglioso […] dove cantano fontane incantate”.
Partiremo una buona volta? Daremo ascolto all’invito gentile del fantastico Califfo?