La proposta che “I Colloqui Fiorentini” fanno alla scuola italiana non ha a che fare con una nuova tecnica didattica. Da diciannove anni I Colloqui Fiorentini non innovano l’insegnamento dell’italiano e non inseguono le mode didattiche sempre più raffinate (flipped classroom, peer to peer, hackathon, debate…).



Perché la scuola italiana, gli studenti che ogni giorno entrano in classe e siedono sui banchi, non hanno bisogno di una nuova trovata che li irretisca per una manciata di minuti in più. Che li intrattenga o li diverta, che solletichi la loro presunta voglia di sentirsi valorizzati invertendo i ruoli, o abbattendo la gerarchia docente-discente (perché in ultima analisi al fondo di ciascuna di queste tecniche c’è questo assunto). I Colloqui Fiorentini non propongono alcuna nuova tecnica didattica che permetta al docente di dormire sonni tranquilli e agli studenti di assicurarsi la conoscenza e la cultura, da brandire come un’arma per farsi spazio nell’agone del mondo degli adulti, che li aspetta dopo la scuola.



Cominciando questo anno scolastico mi sono capitate due prime superiori e quando ho chiesto ai miei nuovi studenti che mi indicassero per quale motivo secondo loro valesse la pena studiare letteratura italiana, innanzitutto mi hanno guardato come se fossi un alieno, perché nessuno aveva mai posto loro questa domanda. Ma se ci pensiamo bene, come si può credere che un ragazzo di quattordici anni accetti di passare ogni giorno cinque o sei ore in una classe e poi altre due o tre di studio a casa, senza capire il valore per sé, il valore presente, il valore qui ed ora, di quello che fa?

Poi, dopo il momento iniziale di disorientamento, tutti o quasi gli studenti hanno risposto che è importante studiare letteratura italiana perché così nessuno più grande di te ti potrà mai “fregare” (se sai parlare e sai tante cose, non ti possono ingannare facilmente); oppure perché sapere l’italiano ti servirà per fare i colloqui di lavoro. Ecco, con tutte le nostre tecniche didattiche siamo riusciti ad inculcare nella testa dei nostri studenti che studiare serve a non subire la fregatura di un mondo adulto (che evidentemente è percepito da loro come ingannevole e sospetto) o per conquistarsi un posto al sole. È bastato far notare loro che fra i politici, la gente di spettacolo, i famosi e i ricchi non si trova uno che sappia azzeccare un congiuntivo, per smontare quest’immagine idilliaca dei poteri della cultura: oggi meno acculturato sei più hai possibilità di sfondare!



La speranza per l’insegnamento non è riposta in una nuova tecnica, ma in un metodo. I Colloqui Fiorentini propongono un metodo. Ora, mentre la parola tecnica richiama all’accumulo di capacità e all’acquisizione di processi, la parola metodo ha a che fare con un altro campo: quello dell’esperienza. I Colloqui Fiorentini propongono una certa esperienza dello studio e dell’insegnamento. Faccio due esempi.

Un’insegnante del comitato didattico dei Colloqui Fiorentini, propone il convegno a scuola sua ed una collega vede quanto gli studenti coinvolti siano entusiasti del lavoro svolto. Allora, desiderosa che anche i propri studenti possano godere di questa novità, assiste ad alcune lezioni del collega e vede, ad esempio, che viene data una prevalenza alla lettura diretta dei testi dell’autore, piuttosto che alla spiegazione del suo contesto storico-culturale. Sicura di aver carpito il segreto di tanta felicità didattica, ripropone ai propri studenti la “tecnica” dei Colloqui Fiorentini. Risultato: gli studenti del collega sono entusiasti, i suoi si annoiano, continuano ad annoiarsi. Perché?

Secondo esempio: una studentessa di quarta superiore, dopo aver partecipato ai Colloqui Fiorentini, tornando in pullman alla sua città, scrive alla sua insegnante: “Ore 17.32 del 24 febbraio 2018: sono seduta sul gradino del marciapiede fuori dall’autogrill di […], con le cuffie nelle orecchie e Montale tra le mani. Chi lo avrebbe mai detto? Io no di sicuro! Non mi sarei mai neanche azzardata a pensare che io avrei potuto avvertire il bisogno di leggere Montale. Eppure è successo!”.

Questa studentessa non sta parlando di una tecnica di studi acquisita, sta parlando di una scoperta fatta, una scoperta inaudita; sta parlando della conquista di una dimensione di sé che gli era ignota; di un tesoro che giaceva al suo fondo e che rischiava di non trovare e che, invece, miracolosamente (percependo con un brivido che avrebbe potuto non accorgersene mai), le si è rivelato. Sta parlando di un’esperienza!

Mentre la tecnica è una capacità che posso acquisire, un’esperienza è una scoperta del proprio essere, sollecitato da un evento che accade. Un evento imprevisto ed imprevedibile, incredibile, nel senso etimologico del termine, cioè cui non si potrebbe credere se non fosse che è accaduto.

Questo è il segreto dei Colloqui Fiorentini: partecipare ad un’esperienza. Ci aiutano ancora le parole di un’altra studentessa: dei Colloqui Fiorentini “non è stato il semplice fatto un po’ speciale di saltare qualche giorno ordinario di scuola ad avermi colpito così tanto, ma tanto di più il fatto che questi tre giorni di conferenza mi siano rimasti nel cuore e nella mente, una circostanza straordinaria e meravigliosa che, a essere sinceri, non mi sarebbe mai potuta capitare dopo una regolare giornata di lezioni a scuola. Eppure, mi sono ripetuta, si parlava di letteratura, si discuteva sul significato delle poesie di Montale. E allora cosa c’è stato di così diverso e speciale da avermi percosso in questo modo? Era l’atmosfera che si respirava, mi sono resa conto subito. Un’atmosfera ricca di arte e di ispirazione che hanno invaso e trascinato inevitabilmente pure me. 3.600 studenti e professori da tutta Italia si sono messi in gioco, ed è stata una vera scommessa largamente vinta, oserei dire. A scuola spesso impariamo a mascherare le emozioni, perché è luogo di apprendimento e non di sfogo personale, questo almeno è quanto mi è sempre stato trasmesso. Ai Colloqui Fiorentini no. Durante le conferenze e i seminari letterari eravamo invece alla ricerca sfrenata dell’autenticità, una vera novità per me, lo ammetto. Non che non ne abbia mai sentito il bisogno, anzi, per me i Colloqui hanno simboleggiato il raggiungimento concreto di quella vera profondità di cui sentivo particolarmente la mancanza”.

La lunga citazione era necessaria per comprendere il significato della parola esperienza. Tante volte pensiamo che ai nostri studenti basti far fare delle cose, perché facciano un’esperienza (o delle esperienze) e infatti i nostri Ptof traboccano di progetti ed attività. Ma quante di questi si traducono in una reale esperienza? Qual è la caratteristica di un’esperienza? Che ti resta dentro e ti cambia per sempre. La studentessa si domanda che cosa ci fosse di diverso nei Colloqui Fiorentini e tenta di rispondere: “un’atmosfera che si respirava, ricca di arte e di ispirazione”. Ecco, un’esperienza ha a che fare con un’atmosfera che si respira, che ti fa respirare, che ti allarga il cuore e la mente; oppure continua: “eravamo alla ricerca sfrenata dell’autenticità, una vera novità per me”. Un’esperienza ha a che fare con la scoperta di sé, con la verità di sé, con l’autenticità.

Allora un insegnante che voglia carpire il segreto dei Colloqui Fiorentini, non deve spiare una tecnica nuova, ma deve entrare in classe con una domanda: “Il mio lavoro come mi aiuta ad essere autentica, a prendere sul serio le mie domande più vere, le mie speranze più profonde, la mia attesa di felicità? E come posso aiutare i miei studenti, attraverso i testi degli autori, a prendere sul serio le proprie domande, la propria fame di autenticità, la propria sete di felicità?”. Non è una tecnica da acquisire, è un metodo da imparare, una posizione da assumere di fronte a se stessi e agli studenti; uno sguardo da portare, all’inizio di ogni giornata scolastica, sul nostro e sul loro destino.

Sono aperte le iscrizioni alla XIX edizione de I Colloqui Fiorentini – Nihil Alienum, dedicate a Cesare Pavese. “E sarà mattino e ricomincerà l’inaudita scoperta, l’apertura alle cose”, Firenze, 5-7 marzo 2020.