L’esame di maturità di centinaia di migliaia di studenti italiani si sta ancora svolgendo. Si è spenta però l’eco delle grida, delle parole, delle riflessioni che l’ha avvolto, come ogni anno e forse anche di più, viste le tante novità introdotte. Del resto, l’esame è una specie di termometro non solo della scuola italiana, ma addirittura dell’intero Paese. Non si spiegherebbe altrimenti il susseguirsi di articoli, servizi televisivi, commenti che ci invadono in occasione di questo rito che si ripete ogni anno.
E allora, come sta questa scuola? Come sta questo Paese? Davvero lo possiamo misurare da ciò che il ministero ha scelto di sottoporre agli studenti? Se si guarda ai contenuti della prima prova, c’è da stare contenti: certo, manca il tema di storia, ed è veramente un suicidio. Tolto perché lo faceva solo l’1% degli studenti? Così stabiliamo anche l’esame in base all’audience?
Ma il resto sembra delineare un orizzonte di pensiero e serietà che rincuora, anche se non si capisce come poi si possa giudicare oggettivamente quegli stessi temi svolti in un liceo classico e in un istituto professionale: ci saranno ovvie relativizzazioni, suppongo. Se invece si guarda al metodo e ai tempi, è da criticare che vengano cambiate le regole del gioco mentre il gioco ancora si sta svolgendo.
Chi ha pagato questa scelta sono stati i ragazzi, con il restringimento di spazio dell’alternanza scuola-lavoro, a cui è stato cambiato nome con una nuova inquietante sigla; con la rivoluzione sulla valutazione dei crediti formativi; con il giochino del colloquio stile Rischiatutto, le buste e quell’idea di interdisciplinarietà o di ricerca di collegamenti tra le diverse materie che ha messo in allarme i professori. Che sono stati i primi a spaventarsi: come, non dobbiamo più interrogare? Dobbiamo prevedere percorsi tematici in cui ogni disciplina venga chiamata obbligatoriamente in causa?
Poveri cristi, i professori delle superiori: una vita a programmare contenuti, a fare domande nozionistiche e asettiche, e ora chiamati a rovistare tra i programmi per individuare collegamenti tra materie che parlano addirittura lingue diverse.
“Ma perché stupirsi?” mi dice il mio amico Giuseppe, professore di una scuola media che da anni si regola così. Bastava, dice lui, rileggersi il Dm del 1981 in materia di esami di licenza media. Decreto che recita letteralmente così: “La commissione imposterà il colloquio in modo da consentire una valutazione comprensiva del livello raggiunto dall’allievo nelle varie discipline, evitando peraltro che esso si risolva in un repertorio di domande e risposte su ciascuna disciplina, prive del necessario organico collegamento, così come impedirà che esso scada ad inconsistente esercizio verboso, da cui esulino i contenuti culturali cui è tenuta ad informarsi l’azione della scuola. Pertanto il colloquio non deve consistere in una somma di colloqui distinti”.
Le corpose circolari ministeriali 28 e 32 rispettivamente del 15 marzo 2007 e del 14 marzo 2008 confermano ancora che “come è consuetudine consolidata, il colloquio, condotto collegialmente alla presenza dell’intera commissione esaminatrice, dovrà consentire di valutare, attraverso il coinvolgimento delle varie discipline di studio, la maturazione globale dell’alunno”.
Il colloquio interdisciplinare interpreta magnificamente il principio, già sancito nelle Indicazioni nazionali per il curricolo, dell’unitarietà dell’insegnamento; pertanto le discipline, nella fase di esposizione orale, entreranno in reciproca relazione e connessione, dimostrando di poter risolvere un problema con approcci diversi, ma correlando e facendo convergere saperi e metodi di indagine, sino ad arricchirsi vicendevolmente, trovando insomma una zona di confine. Dunque, caro Giuseppe, bisogna imparare dalle medie? Da questa scuola che viene ritenuta la Cenerentola del sistema formativo italiano?
Ma sì, dice lui: perché avere paura di questo colloquio, cari professori delle scuole superiori? Perché non chiedere lumi ai colleghi delle medie, che da quarant’anni gestiscono con creatività e sprezzo del pericolo percorsi interdisciplinari e pluridisciplinari da far impallidire gente come Shakespeare o telenovelas come Beautiful?
Nei primi anni di questa riforma dell’esame di terza media si assisteva a veri e propri esercizi di contorsione verbale, a forzature talvolta davvero ciniche, esecrabili e inquietanti: qualcuno passava dal racconto dei lager alla spiegazione della combustione chimica! Nel tempo tutto si è aggiustato: se c’è un collegamento fallo; se non c’è, pazienza. Se la professoressa di musica non trova modo di inserirsi nel colloquio, continuerà a mettersi lo smalto sulle unghie. Se tu allievo non dovessi riuscire a trovare collegamenti in modo autonomo – e i tuoi professori sanno bene se tu lo sai fare o no – ti aiuteranno a preparare due o tre percorsi su dei bei powerpoint che metterai su chiavetta e che illustrerai alla sottocommissione, che fingerà anche qualche moto di eventuale sorpresa. Questo è quello che accade nelle scuole medie da quarant’anni.
Ma negli ultimi anni e in alcune scuole, se proprio non sei capace di fare collegamenti intorno ad un argomento proposto dalla commissione, sarà sufficiente che tu argomenti, caro studente, su un contenuto da te proposto e sul quale i professori non metteranno parola.
Un suo amico, mi dice Giuseppe, ha chiesto di andarsene prima dalla sua scuola, con la quota 100, perché i suoi colleghi all’esame di terza media lo hanno fulminato dopo che aveva chiesto una cosuccia di inglese all’esaminando.
Ma per tornare alla maturità, caro Giuseppe, allora, cosa c’entra con le medie? Risponde sconsolato il mio vecchio prof che nei documenti ministeriali, a proposito del colloquio della maturità, si dice che “prende avvio dai materiali, si svolge in un’unica soluzione temporale, alla presenza dell’intera commissione che cura l’equilibrata articolazione e durata delle fasi del colloquio e il coinvolgimento delle diverse discipline, evitando però una rigida distinzione tra le stesse”. Aggiunge, il buon Giuseppe, una profezia: toglieranno i professori esterni, che peraltro sono un costo e non hanno molta audience; toglieranno il presidente esterno e il preside sarà presidente nella sua scuola con i suoi professori e il copia-e-incolla sarà fatto: maturità uguale terza media.
Vuoi vedere che ha ragione lui? Che tutto il nuovo dell’esame di maturità si riduce poi a questa specie di scimmiottatura di quello che c’è già a un gradino più basso? E se fosse così, che cosa direbbe della scuola e del Paese? Forse che il gioco preferito dagli italiani è quello più gettonato nei giardini e dei parchi: scivolare sempre più in basso, senza fatica, con una leggera brezza sul volto che non guasta in questi giorni di torrido caldo africano.
Ma non ditelo ai professori che stanno sudando nelle scuole; non ditelo ai professori che ancora non hanno capito quale sia la soglia della sufficienza in questo nuovo esame di maturità; non ditelo agli studenti che si sono fatti una traduzione di Tacito che nemmeno al ministero avevano capito dicesse le stesse cose di Plutarco; non ditelo agli studenti che studiano ancora il giorno prima del colloquio fino a dodici ore al giorno per mettere insieme argomenti e percorsi del loro colloquio. Potrebbero arrabbiarsi molto. E avrebbero ragione: loro sono ancora convinti che la scuola sia una cosa seria. Chissà, i loro figli forse ci diranno se ha ragione Giuseppe.