Caro direttore,
vorrei sottoporle alcune riflessioni maturate nella mia esperienza di insegnante sui temi del contrasto alla dispersione scolastica e congiuntamente sull’importanza della formazione e aggiornamento del personale docente, argomenti che spesso sono trattati sul vostro giornale.

La maggior parte dei contributi che arrivano alle scuole per attivare iniziative e progetti che migliorino l’offerta formativa e che combattano la dispersione o che promuovano l’inclusione si ottengono attraverso la partecipazione (e la conseguente vincita) dei bandi a disposizione. Ciò implica necessariamente un ingente impegno e una buona preparazione del personale della segreteria e non sempre è possibile. Talvolta sono gli insegnanti stessi che si formano (tramite appositi corsi di aggiornamento) per portare avanti almeno alcuni progetti e partecipare ai vari bandi.



Considero anche per questo l’aggiornamento una risorsa fondamentale per i docenti, non solo per le attività da svolgere in classe ma anche per migliorare le proprie conoscenze ed infine rendere la propria azione proficua nell’organizzazione della scuola. Negli ultimi anni le offerte sia gratuite che a pagamento (cui si poteva comunque accedere a costo zero utilizzando la Carta del docente) erano numerose anche per il fatto che si era tenuti a totalizzare un certo numero di ore annue di tali attività.



Attualmente però l’aggiornamento del personale docente non è più obbligatorio grazie ad una “importante azione” dei sindacati sancita nello scorso Contratto collettivo nazionale integrativo, così l’iniziativa viene lasciata completamente alla volontà dei singoli docenti, tranne per i corsi approvati in sede di collegio docenti che restano obbligatori.

A volte è difficile comprendere, come in questo caso, quale sia la logica dei sindacati che dovrebbe proteggere i diritti dei lavoratori e pertanto, a mio avviso, favorire le iniziative che promuovono l’aggiornamento docente, linfa vitalizzante per una professione che rischia di perdere efficacia e motivazione senza un serio confronto su temi scelti (possibile nei corsi di aggiornamento, almeno nella mia esperienza).



Un’altra azione sindacale che mi ha reso perplessa e che mi ha visto scontrarmi personalmente durante un’assemblea con il locale rappresentante è stata l’abolizione (per effetto della legge 160/2019,  ovvero la legge di bilancio per il 2020) del bonus premiale concesso dal dirigente che era entrato in vigore con la “Buona Scuola”.

La motivazione è stata piuttosto sconcertante, ovvero che non è possibile attribuire un premio in quanto non si può stabilire che un docente sia più meritevole di un altro.

Sulla gestione del bonus premiale, da subito contestato come ingiusto, si sono spese numerose assemblee per poi arrivare, come tendenza generale, all’elaborazione di una serie di criteri che permettesse un’equa distribuzione del bonus in base a una graduatoria. Per accedervi i docenti interessati compilavano una domanda che  permetteva di attribuire i punteggi rispettando i criteri stabiliti. Nella maggior parte dei casi si è preferito procedere così oppure talvolta  si è scelto di far ricadere a pioggia l’importo del bonus su tutti i docenti indistintamente. Ciascun collegio ha potuto elaborare e scegliere la strada più opportuna.

A me l’attribuzione di un bonus premiale pareva un sistema meritocratico e per nulla ingiusto e discriminatorio. Nelle scuole dove arrivano meno fondi, l’iniziativa del personale docente nel progettare e attivarsi per fornire all’utenza un’offerta migliore era incentivata dal riconoscimento (seppur minimo) del bonus premiale. Questo però è stato abolito e tutte le attività vengono pagate col Fis (fondo di istituto) secondo le voci proposte e approvate in contrattazione sindacale.

In un anno difficile come quello appena trascorso, in diverse scuole i docenti si sono accaniti gli uni verso gli altri anche prendendo spunto dall’equità sbandierata come modello dai sindacati scontrandosi su ogni questione: la gestione dell’orario, gli incarichi, l’assegnazione delle classi ecc. alimentando, se così si può dire, una “guerra tra poveri”. L’altra deplorevole conseguenza è la perdita di motivazione da parte di quei pochi docenti che si impegnavano per incrementare e valorizzare il funzionamento della didattica e dell’organizzazione della scuola, non per la perdita del bonus ma per il fatto di veder azzerate  le iniziative personali ritenute discriminatorie verso chi si limita all’orario di servizio e alle attività obbligatorie. 

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