La scuola vive la sua stagione di ordinaria follia, tra conati di riforma e segnali di resistenza umana. Negli ultimi anni, il daimon dell’innovazione sembra essersi impadronito dei vertici di Viale Trastevere: per ricordare solo alcuni interventi, nel 2019 è stata la volta dei PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, ex Alternanza Scuola-Lavoro); due anni fa l’insegnamento trasversale dell’educazione civica; da pochi mesi, in applicazione di un Decreto ministeriale del dicembre 2022, è stata introdotta la figura del tutor/orientatore che ha portato alla realizzazione di “moduli di orientamento formativo di almeno trenta ore in tutte le classi delle scuole secondarie di primo e secondo grado, l’introduzione dell’E-Portfolio per gli studenti, l’attivazione di una piattaforma digitale UNICA per l’Orientamento”. Sull’onda emotiva dell’omicidio di Giulia Cecchetin, è in cantiere un altro progetto, “Educare alle relazioni”, di altre 30 ore, che ha subito un intoppo sul nome di Paola Concia come garante dell’iniziativa. Respiro di sollievo nelle scuole, in cui si temeva l’ingresso di altre ore da sottrarre all’insegnamento curricolare, magari affidate a influencer acclamati dai social.



Galli della Loggia, in un recente editoriale sul Corriere della Sera, lamentava la continua “assegnazione di compiti che alla scuola non competono”, mentre i dati Invalsi certificano spietatamente il crollo delle competenze di base nei nostri adolescenti, con l’eterna piaga del divario tra Nord e Sud. Sembra che una studentessa, rimproverata per la sua scarsa preparazione, abbia risposto: “in primavera avrò i test universitari, adesso devo studiare per la patente, poi per le certificazioni linguistiche, nel fine settimana lavoro in pizzeria, gioco a pallavolo e in più c’è anche la scuola!”.



In tale situazione, se nelle menti giovanili passa qualche idea di Leopardi o di Dante è un miracolo. La figura dell’insegnante sta subendo una mutazione antropologica: da intellettuale medio che studia e insegna a estensore di progetti e compilatore di moduli su piattaforme digitali. Di fronte all’imperversare delle riforme, c’è chi sostiene che bisogna difendersi dal ministero ed anche difendere gli studenti dal ministero. Per rimanere all’attività di orientamento, gli insegnanti, più disincantati dei romani di Un marziano a Roma di Flaiano, reagiscono in due modi diversi: o respingono a priori il proposito ministeriale o cercano di cavarsela. Non è possibile far rientrare nel monte-ore del progetto altre attività già in essere nelle scuole, come le prove Invalsi, le assemblee studentesche, progetti d’istituto o parti del programma disciplinare già curvate verso l’orientamento? In fondo, la nostra didattica non ha già un valore orientativo? Così le riforme vengono neutralizzate, svuotandole dall’interno.



Ma forse esiste un’altra strada. In ogni meccanismo, per quanto implacabile, c’è qualche crepa, da cui può passare la luce: perché non rintracciare nel decreto ministeriale qualche possibilità di bene per noi e per gli studenti? Si potrebbe così esercitare la vera critica, cioè un giudizio teso a esaminare ogni cosa e a valorizzare quanto di buono è presente nella realtà. Non è forse quello che sostiene Calvino nel finale delle Città invisibili, quando l’autore ci invita a cercare e a saper riconoscere “chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”?

Propongo ai ragazzi che mi sono affidati in qualità di tutor di trattenerci a scuola un pomeriggio per incontrare studenti universitari di diverse facoltà e aiutarli a decidere meglio. Non potrebbe essere questo il vero orientamento, l’incontro personale con qualcuno che ha già fatto un pezzo di strada?

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