Un’ultima riflessione la vorrei dedicare a un tema che sta diventando centrale in tanti dibattiti sulla scuola, non solo in Italia ma direi in una dimensione internazionale: quello delle competenze socio-emotive (chiamate spesso, nel dibattito pubblico, competenze “non cognitive”). L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), che dal 2000 è responsabile di Pisa (Programme for International Student Assessment) da diversi anni ha messo al centro della propria riflessione proprio questo tema.



Questa recente attenzione per le competenze socio-emotive, come elemento caratterizzante di una scuola orientata non solo ai saperi ma anche alle dimensioni più interiori della vita individuale e sociale va, a mio parere, salutata con favore. Si tratta di un passo che, forse, può aiutare a far uscire il dibattito sull’educazione da una visione puramente “funzionalistica”, secondo la quale studiare servirebbe principalmente a trovare lavoro, a garantirsi un futuro migliore. Le scuole, nella prospettiva di un’attenzione alle competenze socio-emotive, sono invece chiamate a trasmettere non solo conoscenze e competenze disciplinari (i “saperi”, appunto) ma anche valori, capacità critiche, abilità che riguardano la sfera della personalità e della interiorità, delle relazioni sociali e dell’attitudine nei confronti della realtà.



Le scuole devono occuparsi di questo compito? Io penso di sì, e soprattutto molti altri studiosi pensano altrettanto: faccio riferimento al filone di studi economici promossi dal premio Nobel James Heckman, anzitutto (anche per il mio particolare punto di osservazione di questo ambito).

Non è questa la situazione in cui addentrarci in un’analisi troppo specifica della definizione di competenze socio-emotive. In termini molto semplici e approssimativi si possono evocare dimensioni importanti e generali dello sviluppo socio-emotivo dei ragazzi, quali ad esempio: motivazione, attitudine (o avversione) al rischio, onestà, capacità di relazionarsi positivamente con gli adulti e con i pari, curiosità, senso critico. Ecco, se le scuole cominciano a interrogarsi non solo sulle modalità migliori di trasmettere saperi disciplinari, ma anche di favorire e sviluppare queste dimensioni, penso che questo sia un fatto positivo. Molti docenti e molte scuole sono già al lavoro da tempo in questo ambito. Molte altre, invece, ritengono che le priorità della scuola non sia di occuparsi di queste dimensioni (più educative), che ma esse debbano limitarsi al proprio compito culturale e formativo.



Ben venga una stagione in cui mettere al centro del dibattito e dell’azione scolastica lo sviluppo delle competenze socio-emotive, insieme – e in modo complementare! – al rigore nella trasmissione dei saperi. L’educazione, in questo senso, è la capacità di trasmettere il senso dei saperi, e di favorire lo sviluppo delle competenze sociali, emotive, interiori anche e soprattutto attraverso i saperi stessi. Ci sono tanti esempi in questa direzione: penso all’integrazione di discipline all’interno dei curricula e penso anche ai tanti progetti e attività che le scuole stanno facendo, durante e a fianco delle lezioni, per sviluppare in modo specifico queste dimensioni della personalità degli studenti. Porto sempre nel cuore, ad esempio, l’esperienza della scuola frequentata dai miei figli in cui “Teatro” è diventata una materia curriculare, al liceo. Si tratta di un esempio, chiaramente, ed altri ne abbiamo sentiti anche quest’oggi (come le micro-conferenze di Suriano o le Romanae Disputationes di Laffranchi).

Ecco allora che un’altra conseguenza per la politica scolastica: si riprenda in mano il disegno di legge per promuovere i progetti di sviluppo delle non-cognitive skills nelle scuole, abbandonato nella scorsa legislatura, valorizzando l’intraprendenza e finanziando le iniziative delle scuole. Sarebbe interessante che ciascuna scuola fosse “stimolata” a realizzare una o più progettualità sulle competenze socio-emotive nei prossimi due o tre anni.

Per concludere, vorrei allora lasciare un messaggio positivo. Nel nostro sistema scolastico ci sono tante esperienze positive e iniziative lodevoli. La prima parte dell’incontro di oggi, con le esperienze raccontate, ce lo ha testimoniato – ed esse sono solo una minima parte di quanto avviene in tantissime scuole in tutto il Paese. Chi ha la responsabilità di prendere decisioni per il nostro sistema scolastico lo faccia, avendo in mente questa positività, e valorizzandola. C’è uno spazio, ed anche una responsabilità, nel valorizzare queste esperienze e farle fruttare. I talenti siano usati per crescere, e per rendere l’esperienza educativa sempre più ricca, profonda, interessante e costruttiva.

(3 – fine)

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