L’arringa della senatrice Bianca Laura Granato del Movimento 5 Stelle contro le scuole paritarie declamata nella seduta del 28 maggio durante la seduta di approvazione in Senato del decreto scuola, non va presa sottogamba o accantonata come l’intemerata di una singola parlamentare, perché esprime la posizione che da sempre M5s dichiara come posizione ufficiale sulla scuola.
Per chi lo avesse dimenticato, il socio di maggioranza del Governo – che ha altresì espresso il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – così scriveva nel suo programma elettorale ufficiale depositato sul blog di Beppe Grillo per le elezioni politiche del 2018 riguardo al punto in questione: “Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica”. L’esplicitazione del punto (guarda caso elaborata proprio con il contributo fondamentale della senatrice Granato, che nei desiderata del Movimento avrebbe dovuto guidare il Miur nel primo governo giallo-verde) chiama in causa l’art. 33 della Costituzione, secondo cui gli enti privati possono istituire delle scuola private, “ma lo Stato non deve avere alcun onere” (da Money, 27 febbraio 2018).
Per fortuna nel Decreto scuola la sua maggioranza non l’ha seguita e ha, invece, modificato lo stesso decreto, aumentando lo stanziamento a 150 milioni, dopo le vibranti proteste del mondo associativo cattolico e non solo. Infatti dalla stessa maggioranza si è levata sia la voce di chi da sempre si batte per la difesa delle paritarie (Gabriele Toccafondi in primis) sia la voce del Pd per bocca, tra l’altro, della senatrice Fedeli, già ministro dell’Istruzione, che ha sottolineato l’importanza delle scuole paritarie, ed anzi ha lamentato l’insufficienza dei fondi stanziati. La stessa posizione è stata anche espressa dal segretario nazionale della Flc-Cgil Francesco Sinopoli in un’intervista comparsa su Avvenire, in cui chiede l’aumento dei fondi per la scuola, scuola paritaria compresa.
Il che è molto interessante e degno di nota: chi da sempre sostiene il valore del sistema “pubblico” dell’istruzione ha ben compreso che attaccare le scuole paritarie con l’obiettivo di farle sparire vuol dire minare alla radice la stessa sussistenza del sistema pubblico. Sta diventando chiaro, in sostanza, che la posizione del Movimento 5 Stelle non è solo contro la scuola paritaria, ma contro il sistema scolastico pubblico italiano che, senza l’apporto fondamentale delle scuole paritarie, sarebbe monco e più inefficiente.
Anzitutto monco: pubblico non vuol dire statale, ne in Italia, né negli altri Paesi europei. “Senza oneri per lo Stato” non vuol dire divieto per lo Stato di intervenire sulle scuole paritarie già esistenti, come dimostra la lettura dei verbali dell’Assemblea Costituente che consiglierei di leggere attentamente, per evitare di mettere in bocca ai Costituenti cose che non si sono mai sognati di dire. Non solo, ma lo stesso articolo 33 Cost. dice espressamente che agli alunni delle scuole paritarie deve essere garantito un “trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali”. Inoltre, tranne che in Grecia, in tutti i Paesi europei le scuole paritarie sono tutelate, a presidio della libertà e della democrazia.
In secondo luogo meno efficiente: i risparmi che la scuola paritaria realizza sono noti da tempo (v. le varie elaborazioni, anche di fonte non cattolica) e, inoltre, se solo il 33% degli alunni delle scuole paritarie si riversasse nel sistema statale ciò comporterebbe un onere in più di 1,6 miliardi per le casse dello Stato (Fonte: Istituto Bruno Leoni).
In un comunicato stampa del 18 maggio scorso l’on. Maurizio Lupi ha ricordato due cose che ogni parlamentare della Repubblica dovrebbe tenere bene a mente: tagliare i fondi alle scuole paritarie significa discriminare 866mila ragazzi e bambini, le loro famiglie e i loro professori. Quindi violare l’art. 3 della Costituzione. Significa pure agire in piena violazione di una legge della Repubblica: la legge n. 62 del 2000, che ha inserito a pieno titolo le scuole paritarie nel sistema nazionale di istruzione.