Prima che il Covid-19 diventasse pandemico, la ministra dell’Istruzione Azzolina, audita alla Camera all’inizio di marzo, si era lanciata, come fa solitamente, in una serie di lodi sperticate rivolte a tutte le professionalità della scuola di cui intenderebbe, sono sue parole, “promuovere il valore sociale”. Per quanto riguarda nello specifico la professionalità docente, la ministra prometteva di agire in tre direzioni: primo, rendere stabili i percorsi di formazione iniziale e di accesso alla professione; secondo, rendere strutturale la formazione del personale docente individuando all’interno del nuovo contratto un monte ore annuale obbligatorio; terzo, garantire il reclutamento tempestivo di nuovi docenti. A pandemia in atto, le mosse di Viale Trastevere sono diventate via via più convulse e l’impressione è di uno scollamento tra la gestione politica della macchina ministeriale e quella burocratico-amministrativa già rodata e capace di procedere autonomamente.



Il capitolo concorsi, in capo alle competenze amministrative del Miur che dall’alto discendono fino agli uffici periferici, si è messo in moto. Il 28 aprile sono stati pubblicati in Gazzetta ufficiale tre bandi per le assunzioni straordinarie e ordinarie di docenti e un quarto finalizzato ad una sorta di abilitazione in situazione di emergenza.



Il bando straordinario (domande dal 28 maggio al 3 luglio) riguarda 24.500 posti nella scuola secondaria di primo e secondo grado, di cui oltre 4.000 su sostegno. Potranno accedere coloro che, oltre alla laurea specifica e ai famosi 24 crediti formativi universitari (Cfu), hanno maturato tre annualità di servizio anche non continuative nelle scuole “statali”, negli ultimi anni scolastici.

Su questa tipologia di concorso è già polemica: l’estrema sinistra al governo (Leu) si sbraccia per piazzare una prova per soli titoli, ma Azzolina ha smentito categoricamente la prospettiva di un facile tapis roulant verso il posto fisso.



Per quanto riguarda l’ordinarietà, i concorsi sono due. Il primo concerne l’assunzione di circa 13.000 docenti nelle scuole dell’infanzia e primaria. Il secondo è per altri 25.000 nuovi ingressi nella scuola secondaria di primo e secondo grado (scadenza per l’invio delle domande 31 luglio 2020): è stabilito che avrà valore abilitante (su punteggio non inferiore a 7/10), che sarà su base regionale e che si articolerà in due prove scritte e una orale (molte le crocette da apporre sui formati computer based predisposti dal Miur per i candidati e, c’è da prevederlo, molte procedure da remoto). Ciò di cui non si sa nulla, ma è solo prevedibile, è la verifica preselettiva che sarà attivata qualora si verifichi un numero di domande quattro volte superiore ai posti disponibili. Alla prova concorsuale potranno accedere gli abilitati e coloro che in possesso di laurea magistrale non sono abilitati ma detentori dei 24 Cfu.

Un quarto bando, infine, va ad intaccare l’annosa questione dei percorsi abilitanti, accordando a chi ha maturato i requisiti, in questo caso presso le istituzioni statali e paritarie, di accedere a percorsi straordinari di abilitazione (una sola prova scritta, computer based, di sessanta quesiti).

Sotto la spinta della contingenza eccezionale si è dunque messo in moto il meccanismo delle assunzioni che verrà a sanare in parte il fenomeno del precariato, in parte i posti vuoti lasciati liberi dai pensionamenti. Nell’eccezionalità, l’elefante Miur non smentisce se stesso: c’è e se pungolato si avvia.

L’aspetto carente dell’attuale stato di cose è la gestione politica dell’istruzione. In due sensi: sul percorso di formazione e abilitazione dei nuovi docenti non c’è nulla di chiaro, se non parole che preludono ad una laurea abilitante. Tuttavia, la possibilità che si riaprano le graduatorie provinciali ai non abilitati per il conferimento delle supplenze significa ritornare indietro anni luce: non sarebbe più logico allora che i nuovi docenti fossero inseriti, piuttosto che in elenchi, in percorsi di tirocinio negli istituti autonomi con riconoscimento economico?

La partita più calda nel prossimo futuro si preannuncia, comunque, quella sul rinnovo del contratto di lavoro per il personale della scuola. La figura dell’insegnante nell’emergenza del coronavirus ha assunto effettivamente un peso sociale non indifferente. I tantissimi docenti che si sono spesi, e si stanno spendendo, perché i loro piccoli e grandi alunni non vadano alla deriva, profondono energie che vanno ben oltre un profilo professionale impiegatizio. Si sta già delineando un’identità nuova che fa leva su un complesso di fattori vocazionali e culturali che meritano di essere compresi in uno stato normativo più attento a rispettare e favorire la libertà di insegnamento che ad appiattire l’offerta formativa in un quadro di funzioni standardizzate.

Non basta dunque la magra soddisfazione di un aumento di 60-100 euro (per i sindacati è comunque poco), per chiudere una fase contrattuale che, anche per metodo di lavoro, richiederebbe altro. Non apra il ministro, per dare agli insegnanti ciò che meritano, solo tavoli tecnici e sindacali. Si consulti con la scuola viva: convochi (sia pure a distanza) insegnanti, dirigenti, associazioni e rappresentanze delle scuole autonome, dei genitori e degli studenti. Da un dialogo a tutto campo di questo genere, da una grande consultazione della scuola attiva, potrà avere origine anche un nuovo profilo della carriera docente, aperto alla formazione (obbligatoria sì, ma libera), al rapporto con l’università che tanti vorrebbero coltivare senza particolari addebiti, alle occasioni di insegnamento tra statale e non statale, alla corresponsabilità direttiva nell’ambito della scuola autonoma.

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