Gentile direttore,
in questa piovosa domenica mattina di settembre, nel silenzio e nel tepore delle stanze addormentate, mi muovo, attratta, tra le pagine “corsare” degli scritti di Pasolini, nel tentativo, dopo un’estate di letture in sua compagnia, di individuare un itinerario per i miei studenti.
Sono letteralmente conquistata, trascinata dall’intelligenza, dalla carica profetica, dall’uso ardito e non convenzionale delle parole, dalla profondità del pensiero e dalla lucidità dell’argomentazione.
Scopro un uomo mosso da un uso implacabile della ragione, che scandaglia fatti e circostanze per stanarne la verità; scopro un intellettuale per cui le parole sono veri e propri strumenti del pensiero, lenti per guardare nel profondo la realtà e comprenderla, affinché non scorra via in una quotidianità senza storia, affinché si riveli in tutta la sua potenza di segno. Scopro un artista libero e coraggioso che, senza alcuno scrupolo ideologico, persegue la rischiosa avventura della ricerca del senso della realtà, della storia, della vita.
Per Pasolini questa avventura è stata sicuramente rischiosa, senza sconti, e certi percorsi sono stati delle montagne russe del pensiero e della vita, e alcune sue interpretazioni non sempre condivisibili e certi comportamenti discutibili. Ma esiste un’avventura più affascinante di questa ricerca del senso della realtà?
Quale avventura più onesta si potrebbe offrire da parte di un insegnante ai propri studenti?
Quale altra domanda dovrebbe risuonare nelle aule delle nostre scuole? Cosa dovrebbe essere la scuola stessa se non il luogo elettivo di questa domanda di senso, cioè luogo elettivo della ragione che in tutta la sua ampiezza si muove per comprendere o almeno tentare di comprendere la realtà, senza alcuno scrupolo ideologico?
Invece sembrerebbe che tra programmazioni, progetti e riunioni di dipartimento ci prepariamo ad un anno scolastico di accumulazioni e poco senso.
Presa dallo spirito corsaro di Pasolini mi accorgo che il consumismo contro il quale si è scagliato e che a noi sembra una parola pietrificata agli anni 70, è in realtà divenuta (come lui profeticamente affermava) l’unica vera ideologia dominante, anche della scuola, tempio decaduto e fatiscente dello spirito critico. La domanda di senso sembra essere definitivamente tramontata dalle nostre aule; quasi appartenga agli spiriti tristi e decadenti, a cui si preferisce il sano pragmatismo dell’“abbuffata didattica” (per usare un’ efficace espressione di Daniela Lucangeli), che poi è la stessa abbuffata dei test universitari, dei Tolc, delle certificazioni varie. Insomma la realtà va consumata, non indagata.
Non si tratta di fare della scuola un perenne “circle time delle emozioni” con i vari overthinking che ne derivano, ma di restituire alle ore di lezione la ragione in tutta la sua ampiezza e in tutto il suo rigore conoscitivo e implacabile del “perché”, della domanda di senso che si gioca in tutto e restituisce dignità a tutto, a cui si è abdicato in nome di uno studio nominalistico fatto di pagine del manuale da consumare.
Si tratta forse di restituire a noi insegnanti e ai nostri allievi la spavalderia di una certezza, che la dinamica della ragione consiste nella ricerca del significato delle cose: una spavalderia che ha tutta la passione della verità, da scoprire, da conquistare e che per essa si mette in viaggio, prende il mare come in certe luminose e belle mattine di settembre. Una spavalderia “corsara”.
Credo che inizierò da Pasolini, da un percorso di lettura per imparare a leggere, cioè a capire che la realtà è segno e può e deve essere indagata, dialogata, criticata, domandata, amata, compresa o non compresa, amata e rifiutata e che questa dinamica ci rende liberi.
Almeno ci proverò, con i miei studenti.
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