“Il lunedì mattina sorprendeva Tom Sawyer in un abisso d’infelicità […] perché era soltanto l’inizio delle interminabili torture di un’altra settimana di scuola. Generalmente cominciava la giornata rammaricandosi di aver fatto vacanza; perché era quella a rendergli tanto più odioso il ritorno alle pastoie della schiavitù”. (Mark Twain, Le avventure di Tom Sawyer, cap. VI)
Mark Twain dipinge alla perfezione quello che in queste ore è lo stato d’animo di migliaia di ragazzi delle scuole italiane di ogni ordine e grado (e anche di un numero indefinibile di docenti). Il lunedì mattina è già di per sé un giorno difficile, perché ricomincia la settimana. Il lunedì mattina che segue un periodo di vacanza, però, è addirittura funesto, tanto da “rammaricarsi di aver fatto vacanza”!
L’equazione qui contenuta è: la vacanza sta alla libertà come la scuola sta alla schiavitù. La schiavitù del lavoro, dell’orario, delle azioni fisse e ripetitive, della fatica quotidiana. Per questo accanto a Tom Sawyer ci sta bene, benissimo il nostro Pinocchio: se la fatica dell’impegno quotidiano con la vita è sentita come schiavitù, meglio fuggire verso la libertà. Il problema è che questa libertà si conclude con l’imbestiamento.
Si ricomincia, dunque, e in aule che per forza di cose saranno fredde dopo più di due settimane di chiusura. E il cielo probabilmente sarà plumbeo.
Niente paura: dopo la “tortura” della prima settimana l’animale che è in noi si sarà adattato e tutto tornerà come prima; si tirerà avanti guardando alla prossima vacanza, quella di Pasqua. Poi durante la vacanza si penserà di nuovo al ritorno a scuola. Poi di nuovo la fatica, poi di nuovo l’abitudine. Poi si penserà all’ultimo giorno di scuola. Non è anche questo un imbestiamento?
“Se la vita è sventura – si chiedeva Leopardi – perché da noi si dura?”.
Il mondo della scuola è particolare perché più di altri mondi può staccare la spina per periodi lunghi o meno brevi di altri. Il manovale, il commerciante, il contadino, la cassiera del supermercato, il cameriere del ristorante, la spina non la staccano quasi mai o, se lo fanno, la pausa “liberante” è davvero breve e non fanno in tempo ad abituarsi alla libertà: tornano presto sotto il giogo. Non così lo studente e il docente: questi possono davvero respirare la libertà per un lungo periodo e soffrono tremendamente uno psicodramma quando tornano all’ordinario. Sentono di più la vita come “sventura”. Si potrebbe banalmente pensare a chi non riesce a dare continuità al proprio allenamento fisico e dopo un periodo di astensione dagli esercizi deve ricominciare da capo. Il risultato è una fatica doppia. Tutti possono capirlo.
Non che non si sia studiato, non che non si siano corretti compiti in questi giorni. Solo che lo si è fatto rilassati, coi tempi lenti, quelli giusti, quelli personali. Ora si torna e, in particolare nelle scuole dove vige la scansione in quadrimestri, sarà un fuoco di fila di interrogazioni, verifiche, test, concentrati in un paio di settimane. Una corsa al voto.
Non sottovalutiamo questo aspetto. I lavoratori di cui sopra fanno un lavoro ripetitivo e faticoso. Ma non sono sottoposti allo stress della verifica, dell’esame continuo, della domanda che richiede una risposta, della concentrazione attiva in vista di una prestazione, con il consequenziale voto e la consequenziale media. “Lo abbiamo fatto tutti!”, dite. Certo, vero. Ma è anche vero che oggi non vorremmo farlo più.
Comunque, la situazione è questa e la domanda di Leopardi resta in piedi. Come uscirne? Abituandosi presto, adattandosi. Come rispondere? Questo è più difficile, come tutte le domande del grande recanatese, quelle che cercano un senso per una storia che, apparentemente, un senso non ce l’ha (la domanda più diffusa che fa un figlio è: “Ma perché devo andare a scuola”?). E, badate bene, si tratta di domande che riguardano tutti. La differenza è che i ragazzi hanno il tempo e le occasioni per farsele.
Come quella mia studentessa che una mattina mi chiese a bruciapelo: “Professore, ma lei come fa a ricominciare ogni giorno?”. Appunto.
Abbiamo da poco scavallato la fine dell’anno. È stato un ripensare al 2023 passato e un fare progetti per il 2024 futuro. Ma il problema è solo il presente. Il passato non è più, il futuro chi lo conosce? La partita si gioca tutta nel presente. Qui e ora c’è bisogno di sapere come si fa a ricominciare. “Preparare l’avvenire – ha scritto Antoine de Saint-Exupéry nel suo capolavoro incompiuto, Cittadella – non significa altro che dare fondamento al presente”. È quello che ci chiedono i ragazzi e di cui ha bisogno in fondo ognuno di noi.
C’è qualcuno che sa come si fa? Con la sua scrittura metaforica Saint-Exupéry aggiunge un’osservazione molto interessante: arrivano momenti in cui l’uomo si chiede che senso abbia il suo lavoro e, non trovandolo, lavora nella noia. Poi conclude: “Nulla manca fuorché il nodo divino che tiene insieme tutte le cose. E tutto manca”.
Il nodo divino che tiene insieme tutte le cose… Sarà lo stesso nodo che con amore stringe il volume nel quale è “conflato” tutto ciò che nel “mondo si squaderna”, visto da Dante nell’ultimo canto della Commedia? Forse. È certo che di un nodo simile abbiamo bisogno, per non sentirci dispersi, frammentati, sballottolati in una realtà faticosa, schiavi delle circostanze altalenanti e del tempo che non passa mai o passa troppo veloce.
Chi ha da dare risposte le dia. Anche solo con la propria presenza. Forse ci vogliono degli avventurieri, testimoni di avventura, più che di sventura.
Dal canto mio, dopo le vacanze entrerò in classe con un grande sorriso.
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