“Una crisi ci costringe a tornare alle domande; esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto; e si trasforma in una catastrofe solo quando noi cerchiamo di farvi fronte con giudizi preconcetti, ossia pregiudizi, aggravando così la crisi e per di più rinunciando a vivere quell’esperienza della realtà, a utilizzare quell’occasione per riflettere, che la crisi stessa costituisce” (Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Milano, Garzanti, 1991, pagina 229).



In questo momento così difficile e nuovo per tutti noi ci viene nuovamente accesa la domanda di senso che spesso è latente nella nostra vita e che ogni tanto, in condizioni come quella in cui ci troviamo, viene fuori prepotentemente. Già solo questo mi pare un dato positivo: ci stiamo interrogando in maniera radicale su molti aspetti della nostra vita: che senso ha questo virus? Perché è successo? Ma l’uomo non era “artefice della sua fortuna”? I ragazzi a casa da scuola come gli adulti in smart working si pongono queste domande e si dividono tra chi cerca di accantonarle e chi le prende sul serio.



A me piace la provocazione della Arendt perché come sempre è radicale e adamantina. Di solito si sentono parlare di questa situazione i medici e i politici, si percepisce la confusione, in alcuni casi la mala informazione, in altri la protesta e la rabbia, ma poi in fondo sono in pochi che dal dato concreto cercano di andare a fondo, alla radice della questione.

Non dico che non sia più che opportuna un’adeguata informazione medica, di prevenzione e anche di comportamenti, dico però che oltre a ciò a me interessa capire che cosa questa circostanza ha da dirmi e da cambiarmi. Per questo trovo aiuto in figure come la Arendt, perché mi obbligano a farmi delle domande e a cercare le risposte, quantomeno mi insegnano a stare nel presente con uno sguardo teso.



A scuola, ad esempio, è in atto una grande rivoluzione culturale. Si è tutti a casa e ci si sta attivando in mille modi per far fronte all’impossibilità di fare lezione in presenza. Come sempre accade, la circostanza svela “il segreto dei cuori” e quindi la posizione ultima che una persona ha di fronte alla realtà. E questa circostanza ci ha portato a una bella verifica. La confusione e la paura non sono state ostacolo, anzi hanno attivato la creatività e la fantasia di ciascuno.

Innanzitutto, il primo esito della verifica è stato quello di scoprire colleghi desiderosi di non tirarsi indietro di fronte alla prova, poi ci sono state tutte le reazioni umane conosciute e quindi una grande solidarietà reciproca tra colleghi.

Tra i docenti la distanza fisica è stata vinta dall’uso delle videoconferenze e delle videotelefonate, e questa modalità, seppur stancante e abbastanza invasiva, ha visto avvicinare molte persone che anche la prossimità fisica non aveva fatto conoscere così bene. Mi ha colpito molto, poi, scoprire nei professori il desiderio di “vedere” i colleghi e i ragazzi, tanto che si sono organizzate videoconferenze con ogni classe per sapere “Come va? Cosa state facendo?”. Oltre agli avvisi tecnici sui compiti e sulle piattaforme di condivisione dei materiali, si è intrapreso un bel dialogo a tutto tondo.

Questa settimana ogni dipartimento disciplinare si è organizzato in momenti di lavoro da remoto per programmare la didattica online delle prossime settimane. Nessuna disciplina è esclusa: anche educazione fisica pensa a video e a lezioni da poter fare per suggerire un corretto esercizio fisico in questo tempo così statico, dove anche le attività sportive sono sospese.

Alcuni professori usano le proprie passioni per accompagnare i ragazzi in questo tempo molto dilatato: è nato il canale “film consigliati”, dove un professore esperto di cinema posta videomessaggi in cui presenta, per ogni livello di classe, una serie di film da vedere a casa con tutta la famiglia. E così letterati e matematici sono alle prese con flipped classroom e simili per ripensare la didattica alla luce delle necessità. E per Religione si aprirà un canale utile a condividere letture interessanti e spazi di dialogo e di domande aperte.

È proprio vero che l’educazione non si limita all’istruzione, ma accompagna la totalità della persona e per questo pensa al ragazzo nella globalità di queste giornate strane, cercando di raggiungerli comunque per suggerire loro proposte intelligenti per impiegare il tempo in maniera sensata.

Una cosa particolare mi ha colpito nei ragazzi. All’inizio non vedevano l’ora di stare a casa per non far nulla, sembrava l’ideale finalmente realizzato; poi, però, la quotidianità si è presentata in modo diverso rispetto alle loro aspettative. Ha fatto irruzione la solitudine e poi la noia.

Non è semplice godere del tempo libero (in greco skholḗ) per trovare soddisfazione. In una videochiamata con alcuni ragazzi mi ha colpito proprio notare questo: hanno bisogno di una proposta che insegni loro a usare il tempo e hanno bisogno di un adulto che accompagni le loro domande in questa skholḗ. Non basta stare a casa, fare i compiti, vedere ogni tanto qualcuno. C’è bisogno di qualcuno che li provochi a chiedersi cosa e come stanno vivendo, che susciti in loro uno sguardo critico, di domanda sulla realtà che hanno davanti.

Insomma, anche a distanza, c’è bisogno di una relazione per vivere, per scoprire, per conoscersi. Questa è veramente la riscoperta del tempo libero e della skholḗ, della scuola come uso del tempo a disposizione per una personale e comunitaria ricerca di senso.

Quando torneremo nelle aule, chissà se ce ne ricorderemo e useremo di quel tempo organizzato e strutturato non come una gabbia – come a volte i ragazzi pensano –, ma come una felice e nuova occasione di scoperta e di provocazione. Speriamo davvero che oltre alle mille skills che avremo sviluppato in ambito informatico, avremo riconquistato di nuovo e assieme (ragazzi–genitori–insegnanti) il valore del tempo e delle domande ultime della vita e, non da ultimo, anche il valore dei nostri rapporti umani.

Qualcuno mi ha chiesto: “È vero che il coronavirus è un morbo che non può portare che male? O è vero, come dice il detto ‘non tutto il male viene per nuocere’?”. Sarà bello in queste settimane scoprire cosa risponderemo. A me, ultimamente, fa compagnia iniziare le giornate rileggendo questa frase di Giussani: “Le circostanze per cui Dio ci fa passare sono fattore essenziale e non secondario della nostra vocazione, della missione a cui ci chiama. Se il cristianesimo è annuncio del fatto che il Mistero si è incarnato in un uomo, la circostanza in cui uno prende posizione su questo, di fronte a tutto il mondo, è importante per il definirsi stesso della testimonianza”. (Luigi Giussani, L’uomo e il suo destino, Marietti, Milano 1999, pagina 63).

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