In un cielo niente affatto sereno è arrivato un altro fulmine, di cui non si sentiva affatto il bisogno.
Non è tanto per spirito polemico che merita dissenso la richiesta di rigida applicazione di una norma che vieta ai dirigenti scolastici di permanere nel medesimo istituto per un periodo superiore ai 6 anni; sono soprattutto la tempistica scelta e le inevitabili tensioni connesse a lasciare interdetti.
Il principio della rotazione degli incarichi dei dirigenti scolastici potrebbe diventare criterio esclusivo nell’assegnazione delle sedi scolastiche.
Nella prassi la maggior parte degli incarichi viene prorogata di triennio in triennio, a meno che il dirigente stesso non chieda il trasferimento, tenuto conto della carenza di dirigenti e della poca frequenza dei concorsi.
Appare quanto meno paradossale che si chieda il rispetto rigido della normativa in un momento così delicato.
È pur vero che la scuola è fisiologicamente attraversata da svariate criticità, ma appare davvero inopportuno – dopo due anni di pandemia, durante i quali è stata forzatamente ridotta l’attività progettuale, ora in cui invece è richiesto un enorme sforzo di panificazione, esecuzione e verifica delle innovazioni promosse anche con i fondi del Pnrr – trasferire de iure proprio ora i dirigenti scolastici alla scadenza del mandato.
All’origine della norma esisterebbe l’equiparazione dei dirigenti scolastici ad altri dirigenti dello Stato, per i quali sarebbe alto il rischio di corruzione. Anche questo paradossale, se si pensa a quanti alti funzionari dello Stato (con ben altre retribuzioni) non sono sottoposti a questo principio rotatorio.
Come in altri casi eccepiamo sul senso di un sistema e di una normativa che invece di intervenire sul controllo rigoroso di eventuali irregolarità, anche attraverso il rafforzamento dei corpi ispettivi, agisce de imperio in modo impositivo, prevedendo incarichi a tempo per un ruolo strategico.
Anche il confronto con l’estero, essenziale in questa fase per qualsiasi piano di miglioramento, segnala la presenza di costanti monitoraggi, tesi a generare non esclusivamente verifiche di carattere quantitativo ma promozione di reali azioni di miglioramento.
Il contesto scolastico, per di più, è stato da tempo riconosciuto dallo stesso Anac (l’organismo a tutela dell’anti-corruzione nella Pa) a basso rischio di corruzione. Eppure il criterio di rotazione ai non addetti ai lavori apparirà come un farmaco decisivo per contrastare gli illeciti. Nella realtà, invece, è un processo alle intenzioni davvero faticoso da sostenere. Perché fra enormi difficoltà il sistema scolastico si sforza di essere ancora non solo presidio alle devianze, ma luogo significativo di relazione, di dialogo, di inclusione, conservando ovviamente il suo primario ruolo di formazione culturale.
Ricordiamo per i non specialisti che il potere discrezionale del dirigente scolastico si integra costantemente con la collegialità del collegio dei docenti e del consiglio di istituto (quest’ultimo presieduto per di più da un genitore) ed è sottoposto al controllo sistematico dei revisori dei conti.
La scuola dell’autonomia, scuola di rapporti, di relazioni, di alta progettualità, di rapporti col mondo delle associazioni, in stretto legame con gli enti territoriali è un organismo vivo che in quanto tale ha bisogno di un proprio tempo per esprimere al meglio le proprie potenzialità.
È vero che gli incarichi hanno durata triennale e che i documenti programmatici della scuola, Ptof, Rapporto di valutazione, Piano di miglioramento, hanno una ciclicità triennale, ma è altrettanto vero che per costruire azioni realmente innovative il tempo è fattore fondamentale.
È in questa vicenda che si esprime la visione della funzione dirigenziale degli istituti scolastici, comunità attorno alle quali ruotano i bisogni formativi di migliaia di persone. Persone, non solo obiettivi misurabili!
Da parte sua il Pnrr, con il suo rigido scadenzario, impone al dirigente il rispetto di una precisa tempistica di investimenti pluriennali, sempre che ci si decida anche in questo caso a rivedere alcune procedure che ad oggi appaiono troppo rigide e per nulla funzionali al reale miglioramento.
Una fase questa che esigerebbe sicuramente il rigoroso controllo dell’Anac ma anche un’amministrazione che favorisca leader educativi, non rigidi burocrati; che eviti di applicare in maniera automatica principi che confliggono con ruoli strategici, e che controlli rigorosamente gli abusi, ma che sostenga costantemente anche il principio dell’autonomia, su cui si basa la ricerca didattica ed educativa.
Un meccanismo, pur legittimato dalla norma (principio della rotazione, Dlgs 50/2016) come quello che ci si avvia ad applicare, in una pretesa di trasparenza ed equità, finirebbe per screditare oltremodo la scuola, di ridurre la funzione dirigenziale (e indirettamente quella docente) a un ruolo puramente funzionalistico.
L’ipotesi di applicazione rigorosa del principio di rotazione ha destato pareri contrastanti: contrari sono quelli di alcuni sindacati e associazioni, favorevoli quelli di docenti che si dichiarano vessati dai dirigenti scolastici, dipinti come padri padroni. Ma non sarà certo il trasferimento a limitare il danno di figure autoritarie. Lo potranno essere soltanto una selezione accurata in sede di arruolamento e un controllo altrettanto rigoroso degli organi competenti.
Giova infine ricordare il sempre benefico confronto con le scuole paritarie, molte delle quali devono la propria eccellenza alla continuità delle figure apicali, presidi o rettori che siano, non a sostegno di modelli autocratici, ma a garanzia di stabilità e continuità di cui tutto il sistema (e in primo luogo studenti e genitori) ha enormemente bisogno.
Serve senza dubbio un chiarimento tempestivo dal ministero.
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