Da qualche giorno, fa notizia l’articolo di una rivista di settore che ha messo in evidenza quanto emerge dai dati statistici di inizio anno nel tradizionale Focus pubblicato dal ministero, Principali dati della scuola. Avvio anno scolastico 2022/23, ossia il grande calo di iscritti nelle scuole paritarie che rispetto a dieci anni fa corrisponde, secondo gli ultimi dati disponibili relativi al 2022-23, a ben 221mila studenti in meno, pari ad una riduzione del 21,8%, pur raggiungendo un totale complessivo di 811.105 iscritti.
È un dato che non stupisce gli operatori di settore, che hanno vissuto sulla propria pelle le non-decisioni politiche di questi anni, o scelte “non a favore” che, all’anniversario dell’approvazione della legge 62/2000 che ha introdotto il principio di “parità scolastica” nel nostro ordinamento, hanno portato ad evidenziare in diversi convegni quanto questa legge sia ancora incompiuta e spesso “dimenticata”. Anche se a qualcuno questo discorso dà fastidio, è oggettivo affermare che, con o senza fini di lucro, ogni scuola paritaria è una piccola o grande impresa e, come tale, per sostenersi deve seguire corrette regole di gestione, avere risorse adeguate, un bilancio con risultato positivo, essere considerata tale dal legislatore quando emette norme che prevedono agevolazioni di carattere fiscale o contributi di sostegno nei casi di emergenze.
I detrattori della scuola paritaria, ossia coloro che vorrebbero che nel nostro Paese esistesse solo la scuola statale, sono sempre stati e sono attivi anche tra i politici. Non possiamo ad esempio dimenticare che pochi mesi prima del varo della legge 62/2000 le parti politiche ed ideologiche contrarie indissero una manifestazione contro la possibile approvazione di una legge di parità, in fase di discussione in Parlamento, che si svolse a Roma il giorno 11 dicembre, con la partecipazione di 50mila persone, titolo: “Per la difesa e il miglioramento della scuola pubblica, contro ogni tentativo di smantellarla”; uno slogan significativo dei preconcetti strumentali portati avanti dagli oppositori.
Opposizione proseguita negli anni, tanto che fece, ad esempio, particolare scalpore l’intervento sulle scuole paritarie dell’on. Azzolina durante una riunione congiunta della VII Commissione Cultura di Camera e Senato, nel luglio 2018, che cito testualmente: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, ma senza oneri per lo Stato (…) i 518 milioni usati per la scuola paritaria possono essere usati per la scuola pubblica, abbiamo così tante emergenze. La scuola pubblica deve essere il futuro del nostro Paese, i soldi che sino ad ora sono stati utilizzati per la scuola paritaria andrebbero utilizzati per tutto il personale docente e per tutto il personale ATA, fossero pure poche risorse (già lo sono), fosse anche una goccia in mezzo al mare, bene, credo che quella goccia vada destinata alla scuola pubblica statale”. Credo non sia difficile immaginare in quale considerazione abbia tenuto il settore paritario durante il suo mandato di ministro dal 10 gennaio 2020 al 13 febbraio 2021.
L’analisi di questi 22 anni di contrasto alla corretta applicazione della legge di parità ha visto, a mio avviso, l’utilizzo di una forma di opposizione semplice: basta mettere in difficoltà le scuole da un punto di vista economico per ottenerne gradualmente l’automatica estinzione, evitando interventi impetuosi come quello descritto, ma usando la politica del “non fare”. È come se si fosse deciso di usare la “via cinese” del cambiamento, secondo la quale la pazienza ottiene risultati là dove l’impeto precipitoso fallisce: “Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico” (antico proverbio cinese). L’analisi delle motivazioni concrete che stanno alla base di questo calo evidenzia il perché di questa mia supposizione/affermazione.
Il calo di studenti iscritti è cronico. Anche la scuola statale ha avuto un calo, ma solo del 7,3%, quindi molto inferiore a quello della scuola paritaria. La scuola dell’infanzia è quella che ha risentito di più (30%), soprattutto per il calo demografico, ma anche perché in alcuni territori la Stato ha scelto di costruirne di nuove anziché valorizzare le scuole paritarie, mettendole di fatto in difficoltà.
A fronte di un pur limitato tasso di inflazione fino al 2020, successivamente essa ha eroso quasi il 40% del potere di acquisto dei contributi erogati dallo Stato, rimasti più o meno gli stessi, circa 520 milioni, soprattutto per scuole dell’infanzia e primarie. Il maggior importo di cui si parla in questi ultimi due anni, importo che supera i 600 milioni, è frutto, finalmente, di un intervento di 70 milioni per il sostegno agli studenti con disagio ex legge 104, contributo che comunque copre solo parzialmente le necessità. A causa dell’incremento dell’inflazione di questi ultimi anni evidentemente la situazione non potrà che peggiorare.
È cambiata la situazione storico-economica complessiva, tanto che anche il solo adeguamento al tasso di inflazione, che dovrebbe portare il contributo a 750-800 milioni di euro, non sarebbe sufficiente a tamponare la situazione. La scuola paritaria è praticamente stata esclusa dai contributi dell’Unione Europea (PON) con la scusa infondata che non lo permettevano le norme europee. Solo da pochissimo tempo vi è stata un’apertura su qualche bando ma con vincoli che ne limitano molto la partecipazione.
In più il Governo non si è “ricordato” della scuola paritaria nella stesura dei progetti per ottenere i fondi del Pnrr e di conseguenza tutti i finanziamenti per il miglioramento delle strutture, digitalizzazione, innovazione, eccetera sono stati devoluti solo alla scuola statale, anche se per legge anche la scuola paritaria fa parte dell’unico sistema nazionale di istruzione e formazione.
I costi di adeguamento strutturale e quelli legati all’innovazione, sia strumentali che per la formazione, sono sempre, tutti, a carico della gestione delle scuole. I costi della pandemia Covid e quelli legati alla crisi energetica per la guerra in Ucraina sono stati significativi, i ristori avuti dalle scuole sono stati limitati e mai ottenuti direttamente, ma solo in seconda battuta con ricorsi ed emendamenti di politici amici (per fortuna ci sono anche loro); perché, se si legifera sulla scuola noi delle paritarie non siamo “statali”, se si legifera sulle imprese, invece, ridiventiamo “scuola”: siamo “invisibili”.
I mancati aiuti diretti alle famiglie (borse di studio previsti dalla legge 62, il fallimento del bonus school della “Buona Scuola”, etc.) hanno indebolito ancor più la già indebolita fascia del ceto medio, da sempre primaria fonte di iscrizione presso le scuole paritarie.
A questo va aggiunta la cronica mancata offerta di possibilità di abilitazione ai giovani docenti, che porta a far sì che lo Stato “rastrelli” dalle paritarie quasi tutti i docenti con titoli per le sue assunzioni, creando problemi organizzativi alle scuole. Gli ultimi 9 anni sono trascorsi senza opportunità, una circostanza che sembra superata dalla recente legge del 3 agosto anche se siamo ancora in attesa dei decreti attuativi.
Mi fermo, anche se potrei continuare con ulteriori esempi. Quanto scritto dovrebbe bastare a capire perché soprattutto le piccole realtà non hanno potuto far fronte alla situazione da un punto di vista gestionale ed hanno dovuto chiudere e perché quelle ancora attive, secondo i dati 11.876, comunque soffrono, anche in funzione di una riduzione di iscrizioni.
Il ministro Valditara, che ad onor del vero ha mostrato attenzione ed anche determinazione per quel che riguarda le abilitazioni del personale e su temi come PON e Pnrr, parteciperà oggi a Milano, ospite dell’Università Cattolica, ad un convegno dal titolo: Presente e futuro della scuola paritaria, tra sfide e nuove opportunità. Le attese del settore paritario sono alte e la speranza è che non sia la solita occasione per analisi conosciute e promesse poi non mantenute, ma con stile pragmatico si adottino decisioni ed azioni realistiche utili a raggiungere un risultato concreto.
Nonostante tutto quasi 12mila scuole sono in funzione, con più di 800mila studenti iscritti che fruiscono di un servizio formativo pubblico di qualità (questo non sarà mai ripetuto abbastanza). Se Il pluralismo educativo e la libertà di scelta educativa sono considerati valori portanti di un Paese democratico, occorre battere un forte colpo che ricalchi uno slogan pubblicitario in voga qualche anno fa: “fatti, non parole”. In caso contrario vinceranno quelli che “seduti sulla sponda del fiume stanno aspettando che noi gli si passi davanti”.
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