Oggi la richiesta di scrivere un articolo su temi che toccano la scuola crea qualche difficoltà, non credo solo a me, poiché i problemi più importanti sono dibattuti da anni accompagnati da proposte, sollecitazioni ai politici, suffragati da ricerche che dimostrano la validità delle richieste e l’utilità complessiva per il Paese, ma i risultati sono sempre stati minimi, se non nulli, con la conseguenza di non risolvere le difficoltà, semmai di aumentarle al settore paritario.
Ma non demordo. Da devoto di San Pio da Pietralcina utilizzo un suo insegnamento religioso: “La preghiera deve essere sempre insistente in quanto l’insistenza denota la fede”. Se lo applico a questo contesto, l’insistenza nel far presenti i problemi e proporne le soluzioni denota la forte convinzione che siano giuste e utili alla scuola e al Paese e spero possano prima o poi far breccia sul decisore politico affinché le ascolti e le realizzi con azioni concrete.
Toccherò due temi da me molto sentiti e che ritengo indispensabili ai fini di una modernizzazione del sistema e di una sua maggiore equità: costo standard e sistema unico nazionale.
Per ciò che attiene il costo standard, di cui sono fondamentalmente convinto sia strumento indispensabile per una corretta organizzazione di servizi e la razionalizzazione dei relativi costi, non ho mancato di ricordare e sollecitare la sua applicazione nella scuola ad ogni ministro che si è insediato a Trastevere.
L’unica lungimirante e sensibile al tema è stata il ministro Valeria Fedeli, che decise l’avvio di uno studio con la costituzione di un Gruppo di lavoro, insediato il 20 novembre 2017, presieduto dall’onorevole Luigi Berlinguer, di cui facevo parte. Un solo incontro, poi fine mandato del ministro Fedeli e il successivo Governo giallo-verde, nel suo primo atto del giugno 2018, come avevo sottolineato in un mio articolo, ha deciso di sospenderne i lavori, oltre a eliminare la prima timida traccia di autonomia delle scuole statali che riguardava la possibilità limitata di assunzione diretta di docenti da parte dei dirigenti statali, prevista dalla legge 107/2015 (Buona Scuola). I ministri che si sono susseguiti hanno glissato il tema e il Gruppo ha esaurito il suo incarico, alla prevista scadenza nel novembre 2020, senza aver mai concretamente cominciato i lavori.
Questa scelta è ancor più incomprensibile visto che altri importanti settori, quali Università e Its, da anni hanno studiato e applicano la metodologia dei costi standard per la loro organizzazione e controllo dei costi, non ultima la IeFP, che nel dicembre 2020 ha pubblicato il risultato dei lavori di ricerca con il paper Costruire e utilizzare i costi standard nelle IeFP, curato da Giulio Salerno e Giacomo Zagardo.
Perché non applicare questa metodologia alla scuola? Perché non utilizzarla al settore con il maggior numero di studenti e dipendenti? Perché questa importante occasione è rimasta chiusa per anni nel cassetto finendo nel dimenticatoio? Credo che i cittadini abbiano diritto alla trasparenza e che abbiano altrettanto diritto ad avere servizi efficienti, ben organizzati e al giusto costo senza sprechi.
Il Governo diretto da Mario Draghi sembra avere caratteristiche secondo le quali una applicazione dei costi standard alla scuola dovrebbe essere di suo interesse anche in relazione ai progetti del Pnrr per la scuola e per i risparmi da reinvestire che ne potrebbero uscire. Spero e confido che la prendano in considerazione.
Il secondo tema è complesso e andrò per flash, poiché ogni punto meriterebbe un articolo che mi riservo di predisporre in futuro. Inizio con la sempre più stringente necessità che per la scuola vi sia una normazione di sistema. Mi spiego. Sono passati ormai 21 anni dall’emanazione della legge 62/2000 che ha introdotto la parità nel nostro sistema scolastico, ma l’impressione è che non si sia ancora radicato il principio espresso nell’articolo 1 comma 1, ossia che scuole statali, scuole paritarie sia gestite da privati sia gestite da enti locali fanno parte, con pari dignità, di un unico sistema scolastico. Ancora oggi, praticamente sempre, le norme sono predisposte sulla base organizzativa della scuola statale, creando problemi di interpretazione e di applicazione che ormai non dovrebbero più esserci. Con il risultato che le paritarie si sentono “invisibili” e/o “figlie di un dio minore”.
A questo si aggiungono altri gravi problemi irrisolti, quali i ritardi nell’erogazione degli stanziamenti dei contributi (solo in questi giorni avrà inizio, solo parzialmente, quella relativa al cosiddetto sostegno bis); una mai avuta rivalutazione dei contributi di base riconosciuti all’emanazione della legge nel 2000 (circa 530 milioni) nonostante una perdita di potere di acquisto che, per l’inflazione, in vent’anni, ha superato il 40% (oggi per avere lo stesso potere di acquisto dovrebbero essere almeno 700 milioni); la mancanza di docenti abilitati, come approfondito in un mio recente articolo, anche se sembra si stia muovendo qualcosa verso un’abilitazione con laurea e 60 Cfu (tema che approfondirò in un prossimo articolo).
Una situazione particolare riguarda quella degli studenti con disagio che frequentano la scuola paritaria. Una discriminazione a dir poco incresciosa, come ho denunciato in un mio articolo tempo fa. Da allora gli stanziamenti sono aumentati, anche se non hanno ancora colmato il gap verso gli studenti che frequentano la scuola statale. Lo scorso anno un forte stanziamento di 70 milioni sembrava aver avviato una stagione positiva, ma non era stato stabilizzato e così, come è capitato spesso, ci si deve impegnare di nuovo per riottenere quanto ormai sembrava assegnato di diritto. In questo senso si è mossa l’Agorà della Parità, facendo pressione con una lettera al presidente del Consiglio, Mario Draghi, e a tutti i ministri. Fortunatamente, in questo caso, il risultato è stato immediato, come ben specifica l’on. Toccafondi nel suo articolo, comunicando che lo stanziamento è stato rifinanziato per gli anni 2022 e 2023.
Altro tema di attualità è il Pnrr. Leggiamo spesso sui quotidiani che una caratteristica forte dei progetti sarà la sinergia pubblico/privato. Per ciò che attiene la scuola, di questo, al momento, non vediamo traccia così come interventi specifici per il settore paritario.
Un annoso problema è il tema no profit che, personalmente, ho iniziato a trattare diversi anni fa, proponendo soluzioni. Nonostante norme recenti (decreto 65/2017 per il settore 0-6) che non distinguono, anche per le risorse, la natura giuridica dell’ente che eroga il servizio, decreti del Mef che indicano i livelli di retta al di sotto dei quali le scuole sono considerate non commerciali e ripetute sentenze della magistratura (Consiglio di Stato) che nel merito affermano (a partire dal 2016): la definizione “senza scopo di lucro” non attribuisce alcun ruolo significativo alla natura giuridica dell’ente gestore, ma punta sulla finalità non lucrativa perseguita dalla scuola, sono ancora in vigore a livello regionale e nazionale vecchie norme e nessuno ha ancora messo mano per razionalizzare e definire questa situazione che finisce per dar vita ad “una guerra dei poveri” per la ripartizione dei contributi stanziati, oltretutto pochi, come sopra ricordavo, e che tocca diversi aspetti importantissimi per le scuole del settore: contributi, Pon, Imu e, speriamo, contributi Pnrr.
Recentemente, a Bari, il presidente Draghi ha tenuto un discorso in cui ha voluto sottolineare la volontà del Governo di “Investire nella scuola – ribadendo che – i giovani sono al centro dell’azione di governo”. Ci auguriamo che questo coincida con l’inizio di un nuovo corso in cui questi interventi siano di sistema e siamo destinati con pari dignità agli studenti delle scuole statali e paritarie.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI