Tra l’indignato e lo scorato, ancora poco tempo fa, un collega confessava come fosse per lui un mistero incomprensibile il fatto che i suoi studenti liceali non vedessero l’ora di tornare tutti in Dad: “Preferiscono starsene a casa comodi a far finta di seguire le lezioni. Se odiano così la scuola, mi chiedo perché. Che cosa gli abbiamo fatto, da cosa fuggono…”. Poi leggo la provocazione, su queste pagine, dell’amico e collega Valerio Capasa e mi viene l’idea di sottoporla come traccia di tema ai miei liceali. Le tracce sono tre, ma tutti scelgono la prima, che evidentemente ha incontrato il loro vissuto e la loro urgenza di dire.



Leggere quei temi è stato coinvolgente, toccante, devastante, illuminante. Sì, abbiamo tutti sentito dire che i ragazzi del biennio Covid hanno subìto contraccolpi psicologici. Ma un conto il sentito dire (che ti scordi subito), un conto il toccare con mano, leggendo delle confessioni fatte a cuore aperto, senza filtri, senza doppi fini. Leggi e ti scontri con una realtà di profondo malessere che ti apre davvero gli occhi, che ti fa capire. Questi ragazzi soffrono, anche se magari non lo danno a vedere. Soffrono e resistono e vanno avanti nonostante tutto. Ma hanno le idee molto chiare e la loro testimonianza è una denuncia verso un mondo adulto, fatto di genitori, professori, politici che troppo spesso, bisogna proprio dirlo, non pensano fino in fondo a quel disagio, non lo rispettano, ci passano sopra come uno schiacciasassi.



La paura, innanzitutto, anzi il terrore. Non di contrarre il virus e di finire in terapia intensiva, no: quello di finire nella solitudine della quarantena, in quelle giornate di 72 ore, come le definisce Anna: “In due settimane di quarantena ho capito la mia necessità di essere circondata di persone, la mia necessità di ambienti ‘vivi’, diversi dalla mia camera dove c’è solo il pesce rosso e una pianta in bilico tra la vita e la morte, un po’ come la mia sanità mentale”. Esagerazione di una ragazza particolarmente sensibile alle compagnie? Le fa eco Martina: “Noi crediamo che non esista niente di peggio della solitudine e abbiamo paura di viverla. Ma questa paura si è realizzata!”. Anche Emma è rimasta segnata: “Ricordo la monotonia delle mie giornate: mi alzo, mi lavo, faccio lezione in Dad, studio, mi rinchiudo nella mia camera e non esco più. Trascorrevo la giornata a pensare come tutto ciò che prima davo per scontato fosse ormai illegale”. Edoardo chiarisce il concetto: “Siamo dentro un clima di costante preoccupazione. Non ci si può permettere nessuna disattenzione e mancanza; il rischio è un isolamento pseudomaniacale la cui durata è estremamente variabile”. Aurora: “Vivo come in un loop. Ho 17 anni e sono ferma ai 14. Non esiste che la scuola. In questi due anni non ho fatto niente”.



Leggo e percepisco il dramma di un fallimento. Il mio collega parlava di studenti che fuggono dalla scuola. I miei del bisogno di tornare a scuola. Gabriele: “Pensavo fosse una fortuna stare a casa invece che a scuola, che prima consideravo come il luogo peggiore in cui stare. Poi la scuola è divenuta un’ancora di salvezza”. Già, tornare. Ma una volta tornati? Un disastro! Pardis: “Il mio unico pensiero è studiare, perché siamo sommersi da verifiche, ma nello stesso tempo non ho più il piacere di studiare e di venire a scuola. C’è davvero questo ‘arrapamento per i voti’ di cui parla Capasa!”. Per Gabriele la cosa più insopportabile, al rientro, è sentirsi dire: “Tanto vi siete riposati, no?”. E allora giù con le interrogazioni e le verifiche. L’ossessione di avere voti sul registro, dice lui, “ha fatto perdere il senso di umanità. Avere un buon voto diventa più importante di avere una buona salute mentale”. Sì, la parte peggiore è il rientro. Edoardo: “Interrogazioni a raffica. Non c’è più tregua”.

E poi le regole a scuola, che cambiano continuamente, con una velocità vertiginosa. E che generano ancora terrore. Scrive Benedetta: “Stare a scuola col terrore che ci sia un positivo in classe e si torni in Dad; soffocare sotto una mascherina per sei-sette ore; gelare per tenere la finestra costantemente aperta; stare lontani da tutto e da tutti, che è contro la natura umana. Molti studenti hanno cominciato a fare assenze prolungate, a valutare l’idea dell’abbandono scolastico e nessuno sembra interessarsi alla nostra salute mentale”. Questi temi sono dei veri cahiers de doléances! Martina: “Molti di noi non ricordano più come era la scuola pre-Covid. Dicono che dobbiamo accontentarci, ma a me non piace accontentarmi!”. Laconica Anna: “La scuola non è più un luogo vivo”. Non è vita, no. Martina: “Tutti cercano di evitarsi, perché ognuno di noi può essere un ipotetico contagio e quanto più ne eviti tanto meno quarantena farai”. Edoardo, che ha avuto il Covid ed è stato a casa, ha aperto gli occhi quando gli amici gli telefonavano e non gli chiedevano “come stai?, ma “hai fatto il vaccino?”.

Basta con questa ossessione, sembra essere il grido. Basta con tutte queste ossessioni! Il mondo degli adulti non aiuta affatto. Primo perché sembra sottovalutare queste esigenze, questo disagio (sono giudicate “futili”, dice Benedetta). Secondo perché bombarda di ulteriori ossessioni questi ragazzi già ossessionati. I media con il loro report quotidiano di morti. I genitori, ossessionati a loro volta dal virus e dalla sue conseguenze in termini di isolamento, che scaricano le tensioni nervose sui figli. Anna racconta un incubo: “Mio padre non doveva assolutamente prendere il Covid, per questioni di lavoro. In casa mi si diceva di stare attenta alla nonna perché va in chiesa e lì non chiedono il green pass e chissà che gente frequenta!”. Alla fine ci si chiude per forza in camera e non si esce più. “Ci tengo alla mia vita – dice Emma –, ma è vita questa? Vita è libertà, è non sentirsi per forza in colpa!”. Vittoria critica il modo in cui il mondo adulto si rivolge ai giovani: “Ci fanno credere che avere questa paura sia normale e addirittura un bene, così stiamo attenti e non ci contagiamo. Dovrebbero insegnarci a stare attenti, ma senza la paura. Io non sento più il desiderio di stare insieme ai compagni di classe ad affrontare insieme le difficoltà”. E il vaccino, che sembrava la panacea, non ha impedito il contagio e tutte le conseguenze.

Tra le conseguenze proprio lo “scisma” odioso (è Aurora a definirlo così, esternando tutta la sua “indignazione”) che si verifica nella classe tra chi è in regola con la vaccinazione e chi non lo è. Anna prima criticava chi non aveva il green pass, ma si è ricreduta e si è pentita anche dei giudizi che dava sulla persone: “Quel pezzo di carta, quel maledetto pezzo di carta è diventato motivo di discriminazione. È uno strumento che non riesco a capire, né a sopportare!”.

Proposte? Gabriele parla di una positività diversa: “Mantenere un’ottica positiva. E questa positività vogliamo vederla nelle figure più influenti, come i professori. È un ottimo strumento per sopravvivere”;  Aurora: “Abbiamo bisogno di tornare alla normalità”; Pardis: “Governo, se mai ti accorgerai di noi, permettici di convivere, di vivere normalmente!”; Emma: “Abbiamo bisogno di imparare a vivere in questa situazione, senza la costante paura. Ed essere più empatici, avere pietà, sostituire quel cuore di latta che questo periodo ci ha causato”; Martina: “Vorrei una scuola più libera, in cui veniamo trattati come persone e non come ipotetici contagi”.

Perché una cosa è certa: questa tremenda esperienza ha fatto riscoprire la bellezza dello stare insieme a scuola. È quando le cose belle non le hai più che capisci che sono belle. Come nella selva oscura di Dante, anche in questa esperienza c’è paradossalmente del bene. Ma il grido deve essere ascoltato, il disagio deve essere capito e rispettato. Perché viene da ragazzi che amano la libertà, la scuola, la compagnia, la vita! Lascio a Martina l’ultima parola: “Credo che la cosa più necessaria ora sia il dialogo. Abbiamo bisogno di parlare, di confrontarci, di sfogarci e di esternare tutte le nostre emozioni”. Lo dimostrano questi temi e quelli di altri studenti ai quali, per motivi di spazio, non ho purtroppo dato voce.

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