“La parola desiderio, in latino, significa mancanza delle stelle, cioè dell’infinito. Ma se le stelle i tuoi genitori te le regalano, che desiderio di che cosa avrai?” dice Paolo Crepet, psicologo specializzato in problematiche educative giovanili. Il suo nuovo libro (Lezioni di sogni. Un metodo educativo ritrovato, Mondadori) riprende il tema a cui ha dedicato tutta la sua vita professionale: i giovani e la perdita di un metodo educativo, quella che Papa Francesco ha definito “catastrofe educativa”. Tra i vari capitoli, uno in particolare suscita interesse e merita approfondimento: la noia, che secondo Crepet i più giovani cominciano a provare “per il mondo iper-connesso ed emotivamente anoressico dei social”, un mondo che starebbero abbandonando. Ma per approdare a che cosa? Ne abbiamo parlato con lui.
Il titolo del suo libro parla di sogni. Lei dice che il sogno sarà uno dei grandi temi per l’umanità nei prossimi anni. Spesso però i sogni non si realizzano, anche se si dedicano loro sforzi immani, ma l’impatto con la realtà spesso li distrugge. Che cosa intende esattamente?
È più importante il verbo che il sostantivo, è più importante sognare che il sogno.
In che senso?
Sognare è una attitudine. Il sogno di comprarsi una macchina o delle scarpe nuove una volta che te li sei comprati finisce lì. Io dico che va mantenuto un atteggiamento sognante, cosa che permette di essere liberi. La libertà è una battaglia a cui dobbiamo credere oggi più che mai.
Lei dedica un capitolo alla noia da social e da tecnologia digitale. I giovani, dice, starebbero abbandonando questi mondi. In realtà è un fenomeno già visto, per questo vengono inventati sempre nuovi social?
Ho la presunzione di considerare profetiche le mie parole. Prendiamo come esempio la questione dell’orrore del video della donna stuprata a Piacenza. Quelle scene sono state davanti agli occhi di tutti, c’è un voyeurismo spaventoso.
Anche questo, rendere pubbliche certe immagini, non è un fenomeno nuovo, non crede?
Mussolini fu fotografato appeso a gambe in su, non c’era la possibilità di mascherare la sua faccia, è una fotografia storica così come quelle dei soldati americani uccisi sulle spiagge della Normandia. La storia è piena di immagini da quando esiste la fotografia. Si pone però un problema deontologico: se io sono libero di illustrare un episodio che ha a che fare con l’orrore, è una cosa su cui interrogarsi. Giorgia Meloni ha detto giustamente: ho trovato quel video su un giornale, non sono andata a Piacenza a filmare lo stupro. Quello che era un problema morale che riguardava i fotografi e gli organi di stampa, oggi grazie ai social è un problema per otto miliardi di persone.
Rimanendo al discorso sulla noia prodotta dai social, sono recenti le immagini di due ragazzi che si accoltellano al di fuori di un centro commerciale e i loro amici hanno commentato che quello è l’unico posto che hanno dove andare. Anche questa è una questione di noia?
Tanti anni fa lavoravo per il Tg2 e dovetti commentare con molta difficoltà i ragazzi che lanciavano i sassi dal cavalcavia sulle auto sottostanti. Quando i giornalisti andavano a chiedere ai ragazzi del posto perché secondo loro succedeva tutto questo, anche loro rispondevano per noia. La noia non è un passepartout per una vita migliore, la noia ha un valore per chi la riconosce, allora diventa rivoluzionaria. Se dici: vado al centro commerciale perché mi annoio e continuo ad andarci perché è la cosa più comoda, allora è la fine. La noia dovrebbe comportare una rabbia verso se stessi: dire basta con questa vita sempre uguale, devo cambiare.
Non c’è il rischio, come ci confermano questi episodi, che lasciare i social possa portare a consumarsi e basta?
Certo. È una noia da controfigure dei vitelloni di Fellini.
In un altro passaggio lei si dice contrario a qualcosa che oggi va molto di moda: afferma che bisogna lottare contro ogni forma di neutralità, cosa che “la stessa natura disdegna”. Non si sente di andare controcorrente?
Detesto questo uso della neutralità. Ho un amico che si chiama Meloni, se vuoi intendere il politico devi dire Giorgia Meloni o la Meloni. Quando mi chiamano Crepet chiedo: chi, mio fratello? Si faccia lo sforzo di dire il nome e il cognome, o di aggiungere il mio nome, cosa che dice chi sono.
Oggi però si vuole neutralizzare, cancellare ogni differenza.
La mia genitalità, il raggiungimento dell’accettazione del proprio sesso, non è la mia sessualità. La genitalità è una cosa, la sessualità un’altra. Non capisco e non accetto questa idea di mettere tutti sullo stesso piano. Se una insegnante entra nella sua classe e deve fare l’appello avendo quattro studenti che si chiamano tutti e quattro Rossi che cosa fa? Il politicamente corretto del neutro vorrebbe che dicesse Rossi e così si alzano in piedi tutti e quattro. È ridicolo. Si dicano i nomi davanti al cognome sempre e comunque. All’anagrafe ci hanno dato un nome e cognome, invece oggi si deve sempre dire il cognome senza articolo. Io non sono neutro. Di neutro conosco solo Roberts, lo shampoo.
(Paolo Vites)
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