Mentre in tutta Italia i ragazzi protestano per il ritorno in classe e l’11 gennaio soltanto tre regioni (Toscana, Abruzzo e Valle d’Aosta) tornano fra i banchi in percentuale ridotta, sono tanti gli interrogativi che si affollano e le preoccupazioni sul futuro di ragazzi a cui è stato sottratto anche l’ultimo baluardo di continuità in una società che di punti di riferimento ne offriva già pochi. E allora quali saranno le conseguenze di questa discontinuità? Quale futuro si prospetta per ragazzi che si trovano a fare i conti quotidianamente con l’insondabile, e per i quali nemmeno più la scuola è un punto fisso a cui, nel bene o nel male, guardare nel percorso di crescita? Abbiamo posto queste e altre domande a Paolo Crepet, che nei giorni scorsi ha lanciato l’allarme. “Sarà una catastrofe, umanitaria e generazionale”, ha dichiarato lo psichiatra, sociologo, educatore e comunicatore, riferendosi anche alla scuola: “C’è questa continua sospensione. Prima si dice che si apre il 7, poi no, il 12. Ma poi il 12 non andrà così, 50% o 75%? Poi la questione dei trasporti. Pensi essere un ragazzo oggi, c’è da impazzire”.



Professore, abbiamo visto in tutta Italia le immagini di ragazzi che protestavano per il ritorno in classe, cosa ne pensa?

La prima cosa che trovo scandalosa, e non parlo solo del governo centrale ma di tutti i governanti, è che i ragazzi non siano stati ascoltati. A ragazzi che hanno fatto una pacifica manifestazione hanno mandato la polizia. E sa perché? Perché tanto i ragazzi non votano. Mi fa ribollire il sangue l’idea che qualcuno si approfitti di questo.



Lei ha parlato di una catastrofe umanitaria e generazionale. Perché?

Perché subiremo le conseguenze di tutte le azioni che stiamo compiendo come se fossero buon senso. Invece non è buon senso, è miseria intellettuale e produrrà dei danni in questa generazione che non riesco nemmeno a calcolare. Io non riesco a immaginare cosa voglia dire un anno senza scuola, se qualcuno ci riesce me lo dica. Ci ricordiamo tutti di quel compagno o compagna di scuola che, per un incidente o per malattia, ha saltato un anno di scuola. Dopo era un disastro. Cosa abbiamo fatto allora per lui o per lei? Abbiamo messo in atto degli aiuti. Ora il problema è di un’intera generazione, cosa facciamo?



In proposito lei ha dichiarato che quella che sta prendendo forma è una resa. A cosa ci stiamo arrendendo?

Ci stiamo arrendendo per totale ignavia. In questo Paese la cultura, la formazione, la meritocrazia sono delle balle. Che nessuno mi venga a dire che questa è una cosa a cui non si poteva trovare un rimedio.

Ci fa qualche esempio?

Parto da Bolzano: hanno addestrato dei cani, tu entri in un liceo come in un aeroporto, il cane si siede quando qualcuno dei ragazzi potrebbe essere positivo, e a quel ragazzo si fa il molecolare. Non vengano a dirmi che costa troppo perché il solo problema è che manca la volontà di farlo. Mi viene in mente anche un’altra realtà, a Padova: hanno suddiviso la planimetria del liceo in modo da fare entrare separatamente i ragazzi positivi asintomatici. Ma viviamo in un Paese in cui è diventato un problema persino aprire le finestre perché fa freddo, si figuri. C’è un’indifferenza generale, questa è la verità, e ci sono lobby che hanno tutto l’interesse a portare avanti la Dad.

Cioè?

Portare milioni di ragazzi alla tecnologia digitale vuol dire fare affari, per le compagnie telefoniche, per i computer di ultima generazione, e per tanti altri. Le assicuro che i ragazzi di tecnologia sanno molto più di noi, di tutto avrebbero bisogno tranne che della didattica a distanza.

E per questo manifestano.

Non solo, potremmo parlare ogni giorno delle cose che accadono: ragazzi che si riuniscono nella piazza di una città e si picchiano, ragazzi che fanno le feste, e perché secondo lei?

E i genitori?

I genitori non aiutano, ma questa è una vecchia storia, i genitori sono complici dei ragazzi: invece di correggerli danno loro i soldi con cui magari andranno a comprare anche alcol o droghe, trasformandosi praticamente nei “pusher” dei propri figli.

È vero che la didattica a distanza e la discontinuità scolastica accresceranno il divario sociale?

Questo è tutto da vedere, quella a cui stiamo assistendo è un’onda anomala che andrà avanti anche oltre il Covid, per questo dico che si tratta di una catastrofe umanitaria. Come rimedieremo all’impreparazione dei ragazzi che hanno saltato la scuola per tanto tempo? Mi pare proprio che fra i leader, che siano di destra o di sinistra, della questione non parli proprio nessuno.

Perché?

Perché non è nel loro interesse. Ha ragione il Papa: o parliamo di noi o parliamo di io. In questo momento dire “io” è una bestemmia, allo stesso modo è una bestemmia pensare al proprio partito. Le mie parole non sono per il governo, tanto il governo ragiona in base a un altro tipo di interesse.

E per chi sono?

Le faccio un esempio. Dopo le proteste contro la Dad capitanate da Anita e Lisa, le due ragazze di Torino, il sindaco della città avrebbe potuto convocarle e dire loro: ragazze, mettetevi le mascherine e venite da me, andiamo in sala Consiglio e parliamone, parliamo delle vostre esigenze, delle vostre richieste. Non è accaduto, eppure sarebbe stata la cosa più semplice. I ragazzi vanno ascoltati.

Cosa comporterà per i ragazzi cresciuti in era di pandemia il fatto di aver perso anche il punto di riferimento che la scuola, nel bene e nel male, ha rappresentato per le altre generazioni?

È un danno enorme e incalcolabile, perché non è uguale per tutti. I sostenitori della Dad, se non sono in malafede, devono pensare che il lockdown in passato era una punizione per chi si comportava male, ora è diventato uno strumento.

Lei è al 100 per cento per la scuola in presenza?

Le dico questo: in Toscana hanno riaperto le scuole, se nei prossimi giorni grazie a questa riapertura si verificherà un aumento dei contagi, allora vuol dire che mi sono sbagliato. Insomma tutti vogliono riaprire, i ristoranti, il calcio: tutti chiedono aiuti e tutti ottengono risposte, la scuola no.

Chi dovrebbe perorare questa causa?

Il Cts sicuramente no, sono esperti di cellule, non di psicologia. Ma noi come esseri umani non siamo solo cellule: se ci fosse un Cts dell’umanesimo avremmo fatto tante cose per i ragazzi, per gli anziani nelle Rsa, per tutte le persone fragili. Io vorrei che arrivasse il giorno in cui usciremo senza mascherina, ma i vaccini procedono a rilento e quel giorno è lontano. E in ogni caso il vaccino cura le cellule, non le persone.

Di cos’altro ci stiamo ammalando?

Facciamo difficoltà ad abbracciarci, lo ha notato? Uno può anche avere il tampone negativo ma la difficoltà rimane, non riusciamo nemmeno a prendere in braccio un bambino che non sia il nostro. Ormai l’emergenza sanitaria si sta prolungando talmente tanto che non è più l’unica emergenza. È entrato dentro di noi un timore, una distanza.

(Emanuela Giacca)