4. L’ultimo punto riguarda lo squilibrio del curriculum definito come un’attenzione sproporzionata data a certe parti di un curriculum a scapito di altre, senza corrispondenti adattamenti nelle condizioni o aspettative per l’insegnamento e l’apprendimento nelle aree a bassa priorità.
Dato che lo spazio per il curriculum è limitato, qualsiasi scelta del curriculum implica però dei compromessi. Ciò può anche verificarsi quando il curriculum diventa un mezzo per fornire risposte a determinati programmi sociali e politici. Ad esempio gli Stati Uniti e i paesi europei hanno cercato di rafforzare il proprio curriculum con la propulsione per le discipline Stem come mezzo per aumentare la propria competitività internazionale. Molti paesi in Africa hanno rivisto il proprio curriculum per allontanarsi dall’eredità della colonizzazione e allo stesso modo, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il curriculum che era stato fortemente influenzato dall’ideologia comunista è stato rivisto per rafforzare gli elementi nazionali e sviluppare un curriculum basato su standard, centrato sulle competenze e orientato ai risultati.
Attualmente resta ancora molto da esplorare sull’argomento e sono numerose le domande per future ricerche comparative che possono identificare condizioni contestuali di sovraccarico di curriculum e soluzioni efficaci in contesti educativi. Uno dei tanti aspetti che interessa qui riportare riguarda il ruolo dei governi e la loro relazione con gli stakeholders nell’ambito delle modifiche dei sistemi di istruzione e quindi dei curricoli.
Per quanto riguarda il nostro paese, che a dire il vero ben poco sta contribuendo a queste indagini Oecd sul curriculum, le maggiori tensioni sul sistema di istruzione e quindi un forte impatto, diretto e indiretto, sul curriculum scolastico in generale si è avuto nello scorso decennio con la nota legge 107/2015. Può essere interessante ripercorrere brevemente come i portatori di interesse si sono interfacciati con il governo in occasione dell’elaborazione della legge, detta anche Buona Scuola, per capire le difficoltà che emergono nel momento in cui i sistemi di istruzione vengono modificati per adeguarli a nuove istanze e necessità.
Fin dall’elaborazione delle linee guida e poi durante l’elaborazione della legge, un ruolo preminente lo hanno avuto i vertici dell’amministrazione centrale e sono state cercate dal governo fonti esterne di ispirazione rispetto al mondo della scuola. Gruppi di interesse, quali i sindacati, hanno agito spesso al di fuori delle sedi istituzionali cercando di orientare in particolare l’opinione di genitori e docenti anche con l’uso dello sciopero generale. Ad ogni modo nonostante il decisionismo dell’allora presidente del consiglio Renzi i diversi gruppi di interesse quali associazioni di genitori, insegnanti, dirigenti, sindacati e tre think tank molto attivi nell’ambito dell’autonomia quali la Fondazione per la Scuola, l’associazione TreeLLLe e la Fondazione Agnelli hanno mantenuto costante nel tempo la loro pressione sul governo per favorire i propri interessi associativi anche dopo l’approvazione della legge. Il governo nel contempo ha evitato la strada della riforma epocale e conflittuale per ottenere in tempi rapidi un risultato tangibile anche a costo di far valere un’asimmetria di potere in modo unilaterale ed evitando troppe intermediazioni, pagando però successivamente un costo politico che è stato accentuato, oltre che dal successivo cambio di governo, dal disinnesco di parte della riforma e dalla ripresa dell’intermediazione da parte del nuovo governo e degli stakeholders per il ripristino, per quanto possibile, delle condizioni di sistema precedenti. Al netto resta comunque la novità della tipo di formulazione delle politiche pubbliche sull’istruzione e l’attuazione di gran parte della legge 107/2015.
In ogni nazione quindi modificare i sistemi di istruzione con i loro curricoli è un’impresa ardua, perché gli interessi in gioco sono molteplici e spesso anche contrapposti e i tempi disponibili per riforme condivise e durature sempre più ridotti, data la velocità con cui la società e l’economia si modificano. Potrà bastare l’accentuare la rapidità decisionale delle politiche pubbliche se non si riforma radicalmente anche la professione docente che si trova sempre più arroccata su posizioni difensive e di mantenimento dello status quo quando invece dovrebbe essere in prima linea per la gestione del cambiamento?
I docenti con le loro associazioni rischiano di trovarsi in posizioni sempre più marginali quando si tratta di far valere le proprie idee nell’ambito delle riforme sull’istruzione e sul curriculum, tanto da vedersi considerate solo come un elemento di cui tenere conto solo per le proprie percezioni, magari anche distorte, come evidenziato dal documento Ocse, e come causa di rallentamenti, di malfunzionamenti e di conseguenze indesiderate delle politiche pubbliche sull’istruzione.
(2 – fine)
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