C’è un allarme che è riecheggiato a più riprese nelle cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario nelle città del Sud Italia. Da Napoli a Catania, passando per Reggio Calabria e Palermo, i presidenti delle Corti d’Appello nelle loro relazioni hanno evidenziato l’espandersi della povertà educativa, triste piaga che mette a rischio decine di migliaia di minori nel Mezzogiorno.



La gran parte degli 80mila minori che vive nel territorio di competenza del Tribunale per i minorenni di Catania, scrive il presidente della Corte d’Appello etnea, Filippo Pennisi, “vive in condizioni di evidente povertà educativa”. I numeri parlano chiaro: “Nella città metropolitana di Catania – prosegue l’alto magistrato – la dispersione scolastica si attesta intorno a una percentuale del 21-22%”, ponendo il capoluogo etneo “a livelli da primato nazionale” su questo triste terreno.



Non è diversa la situazione nelle altre grandi città del Sud. A Napoli, per esempio, il procuratore generale presso la Corte d’Appello, Luigi Riello, lamenta che “c’è ancora un’altissima dispersione scolastica” e ci sono “troppi minori che vivono in contesti territoriali degradati”. E non è difficile incontrare nelle città del Sud “ragazzini armati di coltello – sono ancora parole del procuratore Luigi Riello – che animano la movida, che ormai fanno un uso distorto e senza filtri di odio, che incitano alla violenza (…) e persino all’autolesionismo fisico”.

La povertà educativa, neanche a dirlo, è una grande porta lasciata aperta all’ingresso delle varie mafie. Dove ci sono indigenza, degrado e dispersione scolastica – sostiene Riello – “la camorra non può che apparire come una benefattrice”. Lo racconta drammaticamente, nel suo Diario di un buono a nulla, Davide Cerullo, il fotografo napoletano cresciuto a Scampia e divenuto testimone di una rinascita. “La camorra – scrive Cerullo – si è offerta come garante per una vita più agiata”, e aggiunge: “Da una certa età in poi e fino a un certo punto della mia vita sono stato adottato dalla camorra, vista la latitanza dei miei e della scuola”.



A proposito di latitanza della scuola e dei servizi sociali, dalle relazioni dei magistrati ricaviamo una lista ricchissima di inadempienze che denotano la scarsa attenzione degli enti locali e dei servizi socio-assistenziali verso il tema dei minori. Servirebbe invece, sostiene il presidente della Corte d’Appello di Catania, “uno sforzo comune e coordinato da parte delle istituzioni, ad ogni livello, talché l’impegno per sconfiggere la povertà educativa diventi prioritario nella ‘agenda’ di tutti gli amministratori della cosa pubblica, senza che la materia sia mortificata dalla logica dei numeri e dei costi in un’ottica aziendale e di limitato orizzonte”.

Ma a Catania, così come a Reggio Calabria e a Napoli, qualche passo in questa direzione si sta cominciando a fare attraverso l’adozione di Patti educativi che mettono insieme le istituzioni, la Chiesa e il Terzo settore.

Il presidente della Corte d’Appello di Palermo, Matteo Frasca, dal canto suo lancia una ulteriore proposta: che il legislatore individui i servizi essenziali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in materia sociale e socio-educativa. Ciò per evitare le diseguaglianze gravissime fra Regioni che esistono attualmente in Italia. Un solo esempio: l’offerta di asili nido comunali è garantita dall’89% dei comuni dell’Emilia-Romagna e solo dal 22,8% dei comuni della Calabria (fonte: Openpolis).

Ma per uscire dal pantano della povertà educativa servono soprattutto esperienze concrete in cui i minori a rischio possano essere accompagnati a coltivare i loro sogni. Come ha testimoniato la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Reggio Calabria. “Ho avuto il privilegio – ha raccontato la ministra Cartabia – di cenare con alcuni giovani qui a Reggio, radunati in un immobile confiscato alla criminalità organizzata intorno ad un’associazione che si propone di accompagnarli nel faticoso e spesso insidioso percorso della ricerca della propria strada nel mondo: ho visto giovani che stanno realizzando i loro sogni professionali, che hanno trovato il loro percorso di studi anche universitari o hanno trovato la loro occupazione lavorativa magari dopo anni di sbandamento e di smarrimento”. “Tocca a noi – ha proseguito la Cartabia – preparare le condizioni per un futuro che possa essere di vera possibilità per loro: uno di loro raccontava di essere stato letteralmente salvato, lui diceva miracolato, dall’incontro con questa realtà e strappato dalla sua rabbia interiore, che lo stava indirizzando verso la via della malavita”.

Infine, la ministra ha ricavato da quell’incontro una indicazione di metodo: “io penso che (…) queste realtà sono il primo baluardo contro l’illegalità e la malavita, perché hanno scoperto un’alternativa ben più affascinante e convincente dei modelli oppressivi imposti dalla ‘ndrangheta”.

Per salvare i tanti ragazzi del Sud dalle grinfie delle varie mafie non servono certo discorsi o moniti, ma esperienze concrete che facciano vedere e provare loro la bellezza di una compagnia che li aiuti a coltivare il sogno di una vita bella e libera. Come ci testimonia ancora Davide Cerullo: “Ho incontrato le persone giuste che hanno ucciso in me quello che era morto. E hanno rimesso in vita l’io”.

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