Il caso di Dante “censurato” per ragioni religiose in una scuola media di Treviso ha messo nuovamente a nudo due questioni che, carsicamente, attraversano la scuola italiana con interessanti ripercussioni concrete se contestualizzate in una lettura di più ampio respiro. Come è noto dalla cronache, una docente di lettere ha chiesto alle famiglie se studiare la “Commedia” dantesca, che implica la necessaria trattazione di temi religiosi, potesse urtare la sensibilità di alunni e alunne: due famiglie di religione musulmana hanno chiesto l’esonero, per così dire. La professoressa ha “sostituito” Dante con il suo biografo e collega Boccaccio. Sono già state messe in luce le ragioni di una “dis-integrazione” didattico-pedagogica che tale scelta comporta alla luce della tradizione storico-culturale del nostro Paese.



Ma c’è dell’altro, più recondito e, perciò, potenzialmente più “pericoloso”. Perché tanta premura – quasi morbosa – da parte della docente per sincerarsi di questo fatto? Vien da pensare che sia in nome del politically correct declinato, ovviamente, in salsa italiana che caratterizza, negli ultimi anni, la nostra scuola, in nome della promozione di “giusti” valori, quali, ad esempio, integrazione, inclusione, equità. Purtroppo, talvolta, con aberrazioni che fanno da una parte sorridere, dall’altra parte indignarsi.



Ad esempio, in una scuola primaria di Agna, nel Padovano, fu deciso che i bambini facessero un saggio di Natale senza riferimenti al cattolicesimo per non “offendere” i compagni di religione musulmana: nella canzoni vennero tolti i riferimenti a Dio e agli angeli, e Gesù diventò “Cucù”. Nel dicembre del 2023, nella chiesa di San Pietro e Paolo a Mercogliano, in provincia di Avellino, per iniziativa del parroco locale è spuntato un presepe senza Giuseppe, perché Gesù bambino ha due mamme.

Cosa sta accadendo, dunque? Tutti “inclusivi” per dare testimonianza di ciò che nella realtà non avviene? Questi episodi singoli vanno inquadrati nel periodo di grande fermento che la società multietnica e multiculturale del nostro Paese sta attraversando, obbligandolo a guardarsi davanti allo specchio in un bagno di realtà: il calo demografico di cui l’Italia sta soffrendo viene compensato dalla presenza di alunni e alunne straniere, che perlopiù sono di origine araba e di religione musulmana. Il caso della festività aggiunta – con acrobazie burocratiche per rispettare la normativa vigente – nella scuola media a Pioltello, a Milano, dimostra che in alcune aree delle grandi città la presenza di alunni musulmani è maggiore rispetto a quella di ragazzi e ragazze che stanno a casa in occasione delle festività cristiane. Senza entrare nel merito di queste questioni sociali di notevole complessità, è indubbio che questi singoli eventi, insieme a tanti altri che non entrano nella ribalta della cronaca, sfrondati da un certo folklorismo nostrano, sono le spie luminose di cambiamenti che vanno capiti, governati, in una “narrazione” meno ideologica e più pragmatica.



Come? Non spetta a me dirlo. Il ministro Valditara ha fatto bene a mandare gli ispettori, per approfondire l’accadimento nella scuola media di Treviso, perché l’istruzione è di per sé inclusiva e la cultura crea ponti tra le civiltà: Dante è ovviamente figlio del suo tempo, ma è un po’ il “nonno” di tutti noi studenti italiani, e trattarlo come se fosse un novello Salman Rushdie, autore di “Versetti satanici”, è stato un autogol ingenuo della docente; che è stata, appunto, convocata dall’Ufficio scolastico provinciale, per avviare, eventualmente,  un apposito procedimento. Dall’ispezione “è emersa l’estemporaneità dell’iniziativa della docente non concordata né con il Dirigente scolastico né con il Consiglio di classe e non coerente con la programmazione che la stessa docente ha presentato relativamente alla sua materia”.

Il caso si fa molto interessante, se si tiene conto che, entro luglio 2024, i sindacati del comparto scuola e l’ARAN dovranno pervenire a un condiviso testo inerente la responsabilità disciplinare del personale docente ed educativo delle istituzioni scolastiche. Un punto fermo è che “il soggetto responsabile del procedimento disciplinare deve in ogni caso assicurare che l’esercizio del potere disciplinare sia effettivamente rivolto alla repressione di condotte antidoverose dell’insegnante e non a sindacare, neppure indirettamente, la libertà di insegnamento”, si legge in un documento ufficiale.

Ed eccoci finalmente al punto: può un docente in Italia decidere di sostituire un autore della storia della letteratura italiana come Dante, con un altro altrettanto importante – Boccaccio –, nell’esercizio dell’articolo 33 della Costituzione, al di là delle discutibili ragioni che lo hanno portato a fare ciò?

Occorre ricordare il caso inquietante della professoressa Maria Rosa dell’Aria, sospesa dal servizio per due settimane per non aver vigilato sui lavori di una sua classe che facevano, con anacronismo rozzo ma nella licenza didattica, l’equazione Mussolini = Salvini. Fece ricorso al giudice del Lavoro (il figlio è avvocato) e vinse. Premesso ciò, a mio avviso, occorre trovare modo e strumenti al fine di disciplinare “operativamente”, con trasparenza e imparzialità, il principio dell’articolo 33 della Costituzione: spesso, esso diventa la giustificazione di certi docenti facilmente inclini al preconcetto (voluto o indotto) a discapito dei nostri studenti. E il caso di Dante ci farà vedere se prendere contromisure sia necessario o meno.

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