Un piccolo libro, molto sintetico, ma molto prezioso, direi una bussola per chiunque si occupi di scuola: Andrea Gavosto, La scuola bloccata (Laterza 2022). Per i giovani docenti, strumento di orientamento essenziale per cogliere in modo critico le caratteristiche della galassia scolastica. Per i meno giovani, coordinate chiare a conferma di molti punti critici, ma anche di prudenti e solide prospettive. Per i dirigenti scolastici, un vademecum preziosissimo, per nulla ideologico, per di più supportato da ricchi riferimenti di carattere quantitativo e da una bibliografia e da un apparato di note davvero imponente. Un utile testo con cui iniziare i collegi dei docenti, dopo l’abbuffata di protocolli Covid.
Il testo, per usare la metafora kantiana del mare tranquillo in superficie e tumultuoso nel profondo, è un testo che dice di un approccio seriamente scientifico, ma di una capacità davvero notevole di semplificare, in una prospettiva divulgativa in senso alto.
È un testo che credo possa essere offerto alle scuole per una disamina seria dei problemi e un rilancio altrettanto serio delle prospettive. Per i lettori del Sussidiario un testo che ben si integra con il dibattito sulla scuola lanciato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, ma anche con i più recenti articoli di Luisa Ribolzi e che parzialmente risponde al fortunato testo di Mastrocola e Ricolfi Il danno scolastico.
Il testo, per ovvie ragioni statistiche, si concentra sull’analisi del sistema scolastico statale, ma offre sicuramente anche notevoli spunti di riflessione a chi conosce prevalentemente la scuola paritaria.
Il libro è strutturato in cinque capitoletti, poco più di 100 pagine in tutto, oltre al prezioso apparato di note di cui si è già detto. I titoli dei capitoli sono già fortemente orientativi: Il confronto internazionale, Politiche scolastiche, Cosa insegnare, Chi insegna, Come insegnare, Come sbloccare la scuola.
Vorrei qui solo accennare ad alcuni spunti davvero interessanti.
A fronte del continuo mantra che la nostra sarebbe la scuola migliore del mondo si osserva, dati alla mano, come negli ultimi anni (e non solo per il Covid) il nostro capitale umano si sia impoverito. Chi è nella scuola lo sa bene: mediamente siamo di fronte ad enormi difficoltà degli studenti nella decodificazione dei testi, nella scrittura, nelle lingue straniere e nelle discipline Stem. Studenti di eccellenza ce ne sono, ma quanto ancora i loro successi sono l’esito di contesti di provenienza particolarmente privilegiati? Quanto valore aggiunto riusciamo a generare nella preparazione della totalità dei nostri ragazzi? Siamo poi certi che la causa principale di questo insuccesso siano gli alti numeri di studenti per classe? L’inverno demografico è comunque alle porte; siamo davvero sicuri che con più docenti e meno studenti le cose andranno meglio? I confronti internazionali, sempre dati alla mano, non confermano questa ipotesi. Il rapporto studenti docenti non ci vede così sfavoriti, eppure… Chi sono i docenti? Come li si seleziona? Quanto poco li si paga?
Domande essenziali, a cui Gavosto tenta di rispondere con molto equilibrio, rinunciando anche in questo caso all’ipocrisia dell’affermazione che i docenti italiani siano i migliori del mondo e che gli stipendi siano fra i più bassi. Il tema è caldo, anche per il quasi totale fallimento dei recenti concorsi.
Occorre un ripensamento del sistema universitario distinguendo chiaramente ricerca e didattica; occorre dedicare molto più tempo (come all’estero) al lavoro in team. È finita l’epoca del docente genio, protagonista esclusivo di una straordinaria trasmissione culturale; c’è un enorme bisogno di condivisione di criteri, di metodi e strumenti. I nostri ragazzi più fragili hanno sempre più bisogno di equilibrio e condivisione.
Si potrebbe aprire una discussione (e nel testo se ne fa cenno) anche sul tema dell’esigenza di nuovi spazi e strutture, alla quale il Pnrr ha cercato di porre qualche rimedio. Siamo curiosi vederne gli sviluppi. Le nostre aule modello Bismarck hanno fatto il loro tempo!
Ovviamente la proposta è di una revisione integrale degli strumenti di arruolamento, distinguendo l’abilitazione dal ruolo e suggerendo (forse anche provocatoriamente) come anche l’abilitazione possa essere “a tempo”, non “a vita”, un po’ come la patente.
Il mondo cambia velocemente e forse come per qualsiasi professione l’aggiornamento dei docenti è conditio sine qua non.
Altrettanto interessante il ripensamento dei curricula con una sottolineatura doverosa fra discipline obbligatorie e facoltative. Chi scrive ha più volte sottolineato in particolare l’incongruenza dei curricula degli istituti tecnici: troppe discipline, molte delle quali con pochissime ore e moltissimi docenti, troppi! La strada non può che essere di un solido core curriculum, comune a tutti gli indirizzi e a un ventaglio di discipline opzionali.
Sulla retribuzione dei docenti, attraverso un interessante confronto internazionale si mostra come l’inizio della carriera ci veda in linea con l’Europa: il problema arriva dopo. La necessità pertanto è quella di rilanciare il sistema, articolando profili professionali diversi. Purtroppo il maldestro tentativo del docente esperto è miseramente naufragato. Gavosto ha in mente tre profili interessanti di docente: oltre al docente prevalentemente disciplinarista, il docente con compiti anche funzionali e il docente con ruoli apicali. E rilancio del middle management su cui la scuola si regge.
Chi scrive, consapevole degli strali che si attirerà, è da tempo contraria ai part time. Pur comprendendo come ci siano docenti virtuosi che dedicano il tempo ritrovato a percorsi altamente qualificati, con indubbie ricadute anche nella loro attività didattica (si pensi a prestigiosi intellettuali o serissimi professionisti di area tecnica), la gran parte dei part time genera nella scuola un clima da ‘mordi e fuggi’ che nuoce alla logica di sistema, genera discontinuità e alimenta il precariato.
Anche i compiti del dirigente scolastico andrebbero sicuramente snelliti: pare di cogliere nel testo una netta centratura su una managerialità fortemente didattica e meno amministrativa.
Senza voler togliere il gusto ai nostri lettori di una personale analisi del testo, un’ultima chicca: il tentativo di rilanciare istituzioni nuove, parzialmente simili ai local boards britannici ma con una visione più ambiziosa, che possano costituire organismi snelli e qualificati per contribuire all’arruolamento ma anche per giudicare efficienza ed efficacia dei sistemi, impegnati in una relazione costruttiva con i Governi, là dove, in particolare nel nostro Paese, qualsiasi tentativo di riforma si è arenato anche per una maldestra comunicazione e un eccesso di sindacalismo retrivo. Famiglie e stakeholders, se seriamente coinvolti, potrebbero aiutare le politiche e le scuole stesse ad una seria azione di miglioramento.
Ho il timore che i lettori di queste pagine, vivendo per lo più da dirigenti, docenti o genitori la realtà di scuole paritarie non si ritrovino del tutto nell’analisi di Gavosto; sicuramente si riconosceranno maggiormente nelle tesi proposte i soggetti delle scuole statali, ma il confronto non può che generare prospettive di sviluppo positive.
Un piccolo suggerimento all’autore: ci si sarebbe aspettato o un approfondimento particolare sul tema dell’inclusione e su quello dell’intercultura che ormai costituiscono frontiere con le quali l’agire quotidiano delle scuole è costantemente chiamato a riflettere e ad agire.
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