Sulla carriera del dirigente scolastico (Ds) e soprattutto sul suo profilo professionale si discute da tempo. Volendo riassumere in modo molto approssimativo il dibattito si potrebbe dire che, mentre alcuni sostengono che la professionalità del Ds sia da rintracciare all’interno di qualsiasi altra dirigenza dello Stato, con rivendicazioni legate quindi anche all’importo dello stipendio, altri, senza misconoscere l’aspetto economico, ritengono che il profilo del Ds non possa escludere competenze specifiche legate all’ambito educativo, anche perché nella scuola italiana si diventa dirigenti scolastici solo dopo essere stati insegnanti.



Attualmente le responsabilità in capo al Ds sono davvero numerose: quelle legate all’essere datore di lavoro, legale rappresentante di un’istituzione e molte altre ancora all’interno di complessi scolastici con numeri importanti di studenti e con all’interno diversi cicli o indirizzi di studio. In questo impegnativo contesto risulta difficile trovare il tempo per vivere una leadership finalizzata al successo formativo e all’apprendimento dei ragazzi, ma, a chi scrive, sembra indispensabile presidiare questo aspetto, non certamente marginale, perché, detto con estrema semplicità e sintesi, la scuola esiste solo perché ci sono gli studenti: bambini e ragazzi che studiano, soggetti implicati dunque in un cammino di crescita e di apprendimento.



Senza avere la pretesa di essere esaustivi, solo a titolo di esempio si elencano dunque di seguito alcuni snodi particolarmente significativi per l’esercizio di una leadership di natura educativa. Nulla però sarebbe possibile di quanto si verrà a definire senza una precondizione ineliminabile: la necessità di una leadership realmente condivisa, perché, se è vero che la responsabilità ultima è del dirigente, è altrettanto vero che senza leadership diffusa è impossibile non solo far fronte alle continue richieste di varia natura che interessano le istituzioni scolastiche, ma anche costituire la “comunità educante” che deve farsi carico del successo formativo e dell’apprendimento degli studenti.



Quali snodi, aspetti tra i tanti della vita scolastica, il Ds dovrebbe dunque cercare di presidiare? La definizione delle priorità non è mai neutra, ma discende da una visione della scuola e da una convinzione antropologica. Una scuola all’interno della quale non si deroga da finalità educative e una persona, quella dello studente innanzitutto, ma anche quelle degli adulti, da considerare nella loro interezza, costituite di ragione e di cuore, di intelligenza affettiva e di affezione razionale, oltre qualsiasi separazione di cartesiana memoria.

Veniamo dunque ai possibili snodi e alle attenzioni da presidiare.

Valorizzare i docenti

La cura delle relazioni e la valorizzazione della professionalità dei docenti, come premesse ineludibili per costruire la comunità educante di cui si diceva sopra. Nessun docente dovrebbe mai concepirsi da solo, ma in relazione con i suoi colleghi, con i quali condivide le scelte didattiche e educative opportune per la crescita dei ragazzi. Il Ds è chiamato a moltiplicare le occasioni in cui condividere la mission della scuola, l’offerta formativa dell’istituto, all’interno della quale siano ben evidenti le priorità, per mettere i docenti nella condizione di poterla assumere non con un assenso formale, ma con un’adesione esplicita. Staff di direzione, dipartimenti, commissioni lavorano in sinergia avendo chiare le scelte che orientano la scuola, scelte che devono essere comunicate anche alle famiglie. I genitori saranno così più coinvolti nell’alleanza educativa, tanto invocata e tanto difficile da raggiungere, con gli adulti della scuola, avendo chiare le finalità che l’istituzione scolastica si è data. Il Ds non può neppure tralasciare di valorizzare le diverse professionalità all’interno del suo istituto, sia per favorire il benessere delle persone, sia per identificare competenze particolari finalizzate all’assegnazione di compiti specifici di collaborazione nell’organizzazione e nella conduzione della scuola.

Studenti al centro

Tutti sembrano concordi nel sottolineare la necessità di mettere lo “studente al centro”, ma forse non altrettanto unanime è la declinazione delle azioni concrete da attuare perché questa finalità non resti un’affermazione ideale, ma diventi obiettivo da raggiungere nella quotidianità del fare scuola. Si tratta innanzitutto di riferirsi ad un soggetto concreto, originale nella sua individualità, come ricordano le Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del 2012: “Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate. Al contrario, la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari della personalità di ognuno”.

Mettere al centro lo studente vuol dire dunque perseguire una reale personalizzazione degli apprendimenti, che sia in grado nel tempo di identificare le inclinazioni, i talenti di ognuno. In questa direzione il Ds favorisce azioni finalizzate a far comprendere il valore orientativo delle diverse discipline, intese come punti di vista con cui la tradizione ci veicola la possibilità di conoscere la realtà, senza eludere la ricerca del significato.

In un testo dal titolo eloquente Conoscenza e significato, (Mondadori, 2009, pag. 22) Eddo Rigotti scrive: “La responsabilità del docente in rapporto alla sua disciplina di insegnamento configura un compito complesso e, al tempo stesso, affascinante. Un insegnante deve: riappropriarsi dei contenuti delle discipline, verificare la rispondenza e il significato per i suoi allievi, situarli nel disegno complessivo dei saperi che la comunità scolastica progetta per i suoi allievi, verificandone collegialmente l’adeguatezza al loro momento di crescita”.

Non c’è reale centralità dello studente nel processo di apprendimento-insegnamento se non viene valorizzate l’interdisciplinarietà, perché solo il concorso di diverse discipline permette di conoscere la realtà, senza precluderne a priori alcuni aspetti. Mettere al centro lo studente vuol dire dare credito alla ragione come strumento per conoscere la realtà, non come magazzino per stipare informazioni senza alcuna prospettiva di senso. Il Ds lavora con la comunità educante, come dice Rigotti, per situare i saperi in un disegno complessivo finalizzato alla conoscenza della realtà, all’interno di una continua ricerca del significato.

La comprensione del valore orientativo delle discipline aiuta a cogliere come l’attuale dibattito in corso sulle soft skills o character skills non sia da intendersi come lo scontro tra due partigianerie: da una parte coloro che vorrebbero una scuola centrata sui saperi e dall’altra chi riterrebbe più importante l’attenzione al sociale e al benessere dell’individuo. Si tratta piuttosto, mettendo al centro la persona, di sfidare la sua ragione in compiti alti di apprendimento, senza misconoscere il ruolo che le competenze non cognitive hanno nella crescita delle persone.

Documentare il lavoro

Il Ds, come si diceva sopra, guida al riconoscimento delle priorità, delle caratterizzazioni particolari dell’offerta formativa dell’istituto che presiede. Per questo non può tralasciare di raccogliere e di documentare quanto il suo istituto nel tempo ha generato e sta generando: ci sono esperienze molto significative che rischiano di essere sommerse e presto dimenticate, se non vengono raccolte e condivise con sistematicità. È importante dunque che il Ds nella gestione organizzativa trovi soluzioni per non disperdere il patrimonio di esperienze della scuola che presiede. In caso contrario si potrebbe avere l’impressione, all’inizio di ogni anno scolastico, di ripartire da zero, senza una storia e un lavoro alle spalle.

Favorire la sintesi

Il Ds che promuove una leadership educativa presta attenzione ai nessi, cerca di favorire la sintesi, facendosi guidare dalle finalità individuate. Per fare un solo esempio, riferito a due aspetti di cui le scuole si sono occupare negli ultimi anni, sottolinea il legame tra i percorsi di educazione civica e dell’orientamento. La conoscenza di sé, la scoperta delle inclinazioni e dei talenti trova infatti terreno fertile di espressione in un sano esercizio di crescita del futuro cittadino, che, conoscendosi attraverso un percorso progressivo di autocoscienza, esercita la sua libertà nelle relazioni all’interno e all’esterno della scuola.

Il territorio

Per ultimo, anche se ci sarebbe molto altro da dire, il Ds facilita in tutti i modi l’interazione con il territorio in cui l’istituzione scolastica che preside è inserita e la creazione di reti e di partnership con enti, associazioni, che consentano agli studenti di incontrare personalità, fare esperienze oltre le mura scolastiche, evitando così il rischio sempre latente dell’autoreferenzialità. Non resta dunque che auspicare la realizzazione di una reale autonomia e di quella semplificazione di cui da tempo si parla, ma che al momento sembra lontana, per poter liberare energie e tempo al dirigente scolastico che voglia esercitare la sua leadership educativa, come ricorda Giorgio Chiosso in un intervento all’interno del recente testo Introduzione alla realtà totale. Saggi sul pensiero pedagogico e sociale di Luigi Giussani (Bur, 2023, pag. 20): “In questa lunghezza d’onda vanno concepite l’educazione e la scuola del dopo Covid-19. Quest’ultima, in particolare, è sollecitata a una profonda revisione di sé stessa, chiamata perciò a un grande sforzo antifunzionalistico, in controtendenza con l’opinione prevalente che pensa ai processi educativi legati a scuola e formazione come tutti riconducibili e comprensibili entro piani finanziari, tabelle statistiche e incremento delle tecnologie per migliorare la comunicazione didattica. Tutte istanze condivisibili, a condizione però di renderle coerenti con l’urgenza di riportare al centro la persona al posto del mercato, le relazioni interpersonali al posto della virtualità della rete, il senso della comunità solidale al posto dell’individualismo. L’emergere di un’attenzione fino a qualche tempo fa inedita per quelle disposizioni dell’uomo che rientrano nella categoria delle non-cognitive skills fa ben sperare. L’educazione vive immersa in una trama di immaterialità che nessuna ricerca riuscirà mai compiutamente a decifrare”.

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