Il momento non è dei più semplici. Da un lato le scuole, soprattutto le statali, per la verità, sono oggetto di significativi finanziamenti tramite il Pnrr, che dovrebbero essere forieri di grandi miglioramenti, dall’altra continua la battaglia mediatica che accusa la scuola di non essere all’altezza del compito che la società le riconosce, tanto più quando è travolta da accuse davvero gravi, corruzione e malgoverno, tanto più pesanti se pensiamo che proprio a scuola giovani e adulti dovrebbero imparare e coltivare il bene comune.
Eppure tra le pagine del Sussidiario la rubrica dedicata alla scuola è spesso ricchissima di testimonianze di bene, di docenti appassionati, di progetti innovativi, di modelli di convivenza efficaci. Proviamo allora a riflettere in maniera sistematica, enunciando gli elementi di maggior criticità e le prospettive.
I problemi strutturali
Parto dagli aspetti strutturali, dalla sicurezza degli edifici; da tempo si afferma che la responsabilità non può ricadere esclusivamente sul dirigente scolastico, a meno di palesi omissioni. L’auspicio è che finalmente la norma sia modificata e che gli enti proprietari si impegnino a un rinnovamento significativo di strutture davvero obsolete: che senso avrebbe, secondo le linee del Pnrr, ripensare l’arredo (si vedano i meravigliosi progetti presentati nella settimana del Design a Milano) se la maggior parte degli edifici scolastici, soprattutto nelle scuole superiori, affidati alle province, conserva l’aspetto e purtroppo la struttura di vecchie caserme? Non saranno certo i banchi mobili e qualche arredo più colorato a mutarne l’estetica e soprattutto la funzionalità e la sicurezza.
Una seconda questione di sistema: le funzioni del dirigente scolastico e delle segreterie. Un enorme carico di lavoro di natura gestionale e amministrativa a danno della dimensione culturale, pedagogica e relazionale; non è così nella maggior parte dei Paesi “sviluppati”. Mentre sulle segreterie confluiscono responsabilità e impegni difficili da sostenere, con un personale non sempre competente e sicuramente sottodimensionato rispetto alle esigenze. Essenziale sarà, almeno per le scuole statali, la revisione del testo unico e degli organi collegiali.
Si è scelto di ridurre il personale degli ex provveditorati e di delegare alle segreterie scolastiche una mole di incombenze spinosissime. Il dirigente ha compiti e responsabilità davvero eccessive, i modelli europei guardano piuttosto a una stretta collaborazione fra figure apicali e consigli di amministrazione con alte competenze economiche e amministrative. Vengo ad aspetti più propriamente didattici.
L’integrazione degli stranieri
Partiamo dal tema di estrema attualità, quello migratorio; troppo poco è stato fatto in materia di studenti neo-arrivati in Italia, soprattutto se l’arrivo è in età preadolescenziale; le risorse umane e materiali per una reale integrazione non sono sicuramente sufficienti, non siamo riusciti ad applicare procedure già consolidate in gran parte dei Paesi europei, il risultato è che in molti casi il gap linguistico genera esclusione, emarginazione, talora violenza.
Continuiamo a confondere il problema linguistico con problematiche di natura cognitiva, generando esclusione, diffidenza e perdendo talenti; le scuole italiane a breve avranno un numero di studenti provenienti da contesti familiari non italofoni davvero importante, è assolutamente prioritario che si diffondano le buone prassi, che le università si impegnino nella formazione, che si investa maggiormente sulla mediazione culturale, che si valorizzino i Cpia (Centri provinciali istruzione adulti), che si coltivi nel contesto domestico la lingua nativa, rinunciando a un meticciato depauperante.
Veniamo al tema delicatissimo dell’inclusione: servono più docenti di sostegno, più dialogo con gli operatori, orari personalizzati, un orientamento più consapevole. La disabilità dovrebbe necessariamente essere al centro degli investimenti educativi e formativi, ma la strada è ancora molto erta; tanto conflitto, tensione, astio serpeggiano, è una priorità su cui c’è ancora troppa censura.
Il calo demografico potrebbe portare a chiusure forzate di molti edifici scolastici (il cosiddetto dimensionamento), ma potrebbe anche generare prassi virtuose, meno studenti per classe, più docenti a disposizione, soprattutto nei casi più difficili, l’aumento di bambini e ragazzi con bisogni speciali necessiterà un ripensamento dei numeri dei docenti di sostegno.
E che dire dei curricula? Da tempo conosciamo i punti critici del nostro sistema: debolezza della scuola secondaria di primo grado, esiti poco lusinghieri nelle prove Invalsi, debolezza delle Stem e numeri di diplomati tecnici inferiori alle esigenze del mercato. Dopo aver segnalato qui sopra i problemi di natura strutturale mi si consenta di proporre al ministro di un Governo che si aspetta di durare l’intera legislatura qualche suggerimento di miglioramento. La scuola italiana ha bisogno di ottimi docenti per migliorare, i migliori giovani laureati devono trovare nell’istituzione scolastica retribuzioni adeguate e possibilità di sviluppo di carriera.
Qualche ripensamento anche sull’organizzazione delle cattedre. Italiano, matematica e inglese (il cosiddetto core curriculum) devono essere attribuite a docenti specialisti in queste aree; forse i non addetti ai lavori non sanno che spesso il docente di italiano non è esperto di lingua ma possiede una laurea in lettere provenendo da varie specialità (storia, geografia, talora discipline filosofiche), il docente di matematica alla scuola secondaria di primo grado solo raramente è un matematico, più spesso è un naturalista, un geologo, un biologo), il docente di lingua inglese non ha l’inglese come prima lingua, ma il tedesco, il francese.
Al termine della scuola superiore la maggior parte degli studenti dovrebbe saper parlare, scrivere in buon italiano, essere certificato almeno a livello B2 in lingua straniera e possedere competenze sufficienti nell’ambito logico-matematico, obiettivi molto, troppo distanti dalla realtà. I concorsi dovrebbero verificare le competenze, ma la macchina in questi ultimi anni ha arruolato migliaia di nuovi docenti attraverso il nozionismo. Altro però è fare l’esame, altro è insegnare la disciplina. A meno di clamorose inadempienze, una volta passato il concorso sei di ruolo a vita, l’anno di formazione è davvero poca cosa in assenza di una preparazione solida e strutturata. Vero è che l’esperienza fa molto, ma la si costruisce sulla pelle dei ragazzi e dei bambini.
La bellezza di insegnare
Si dovrebbe incrementare il tutoraggio dei docenti senior e investire di più su una selezione più accurata, anche dal punto di vista psicologico e relazionale. Sono stati attivati molti corsi di formazione su queste tematiche, ma spesso chi sceglie di diventare docente non ha le caratteristiche essenziali per affrontare questa professione. Molto docenti sono preparatissimi dal punto di vista teorico ma sprovvisti degli strumenti essenziali della relazione autorevole, determinante soprattutto in un momento così critico.
Va tutto male dunque? No, il lavoro a scuola, per chi lo abbia scelto e lo ami, è quanto di più gratificante il mercato del lavoro possa offrire. Il docente che conosca la propria disciplina, che sia un buon comunicatore e un equilibrato valutatore realizza certamente lezioni meravigliose, contribuisce al successo formativo dei suoi studenti, al bene del proprio Paese, è stimato e amato e ricordato dai propri studenti per tutta la vita. Gli occhi dei ragazzi e delle ragazze svelano l’efficacia dell’esperienza. Provate a guardare i volti dei ragazzi quando in cattedra c’è un autentico maestro!
Ho ricevuto foto e commenti di studenti e docenti più che soddisfatti a seguito di viaggi di istruzione ben preparati; i progetti Erasmus sono una straordinaria occasione di imparare a “stare al mondo”, i percorsi Pcto nella gran parte dei casi, se ben costruiti, sono grandi opportunità di acquisire consapevolezza del sé, delle proprie paure, dei propri sogni; lo sport, soprattutto di squadra, è per molti l’eccezionale occasione di verificare le proprie qualità motorie, di confrontarsi con i pari, i Patti territoriali dicono di una possibilità di sviluppo di sinergie positive tra scuola e territorio.
Sembra quasi da questo elenco che tutto quanto sia extracurricolare funzioni, e ciò che invece costituisce lo scheletro, il centro del curriculum, generi disaffezione. Non è così vero!
Coraggio con le buone pratiche, di cui le pagine di scuola del Sussidiario sono stracolme, coraggio con un sano dialogo fra scuole statali e paritarie, con la promozione di modelli di insegnamento appassionanti; basti pensare ai Colloqui fiorentini per esempio, ma non solo; pensiamo all’efficacia di eccellenti laboratori teatrali, o ai recenti Piani operativi nazionali che hanno visto tentativi di innovazione didattica davvero interessanti, diffondiamo i risultati e procediamo per imitazione.
Last but not least, un’organizzazione diversa degli orari scolastici: chi scrive è sempre stata convinta sostenitrice, almeno per la scuola superiore, di un orario su 6 giorni, ero solita dire “al mattino scuola, al pomeriggio si studia”, ma chi dei nostri studenti, soprattutto proveniente da contesti difficili (e sono i più) il pomeriggio studia, chi?
Servono scuole aperte il pomeriggio, con gruppi di studio e laboratori e soprattutto con la presenza di adulti che sappiano vincere la solitudine sempre più drammatica e talora violenta dei nostri ragazzi.
La scuola è una priorità assoluta per un Paese che sta precipitosamente invecchiando. Diventare docente deve essere di nuovo appetibile per i nostri giovani e per esserlo ci devono essere anche retribuzioni adeguate; con stipendi bloccati e senza prospettive di carriera i migliori non sceglieranno più l’insegnamento e sarà catastrofe, amarissima per un Paese come l’Italia che, nel passato, ha promosso esperienze straordinarie dal punto di vista scolastico e formativo.
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