Dopo un anno di confinamento, oggi in Italia la scuola è ancora a distanza. Quando la maggioranza dei Paesi europei (Austria, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Svizzera) stanno garantendo ai ragazzi scuole in presenza (Gran Bretagna e Svezia si sono mantenute in una posizione intermedia), solo l’Italia e il Portogallo hanno sospeso l’attività scolastica in presenza.



Abbiamo chiesto se e quali possono essere gli effetti neurofisiopatologici cognitivi e comportamentali di una didattica a distanza così prolungata al dott. Carlo Alberto Mariani, medico neurologo e coordinatore regionale in Sicilia dell’Associazione italiana neurologi ambulatoriali territoriali (Ainat), che ha studiato e vagliato dal punto di vista neuroscientifico il nostro approccio esplicativo di una concezione di ragione e ragionamento che si allargano oltre quella esclusivamente razionale.



Dott. Mariani, lo stato clinico dei casi di contagio con meno di 20 anni conferma che tra i giovani le conseguenze del virus sono più lievi che non tra gli adulti e soprattutto gli anziani. Circa il 70% di tutti i positivi con meno di 20 anni è asintomatico al momento della diagnosi, circa il 20% è considerato lieve, poco più del 10% paucisintomatico. Quindi i ragazzi potrebbero fare scuola in presenza in sicurezza?

Certamente: i dati epidemiologici obiettivi non identificano gli “studenti in classe” come categoria a rischio, quindi con le opportune accortezze igieniche, la loro frequenza dovrebbe essere riconsiderata.



Con quali precauzioni?

Con le stesse che si suggeriscono e adottano per i luoghi frequentati da soggetti non conviventi: mascherine FFp2 obbligatorie, distanziamento, areazione dei locali chiusi, rilevamento della temperatura all’ingresso ed eventualmente tamponi rapidi periodici e relativo tracciamento.

Dopo studi più che decennali sull’impatto cognitivo dell’uso della tecnologia, due anni fa Joseph Firth e collaboratori misero in evidenza come l’uso di Internet possa modificare la cognizione (The ‘online brain’: how the Internet may be changing our cognition). Può spiegarci perché l’eccessivo uso della rete influisce sulla capacità di pensare dei ragazzi?

Il lobo frontale dell’encefalo, sede della decisione e della strategia, se ripetutamente e prevalentemente stimolato da input digitali, può perdere neuroni in modo irreversibile: non si riesce a fissare il ricordo e c’è una caduta dell’apprendimento per deficit di attenzione e memoria, si può registrare un decremento del vocabolario (200-300 parole, quelle usate nella messaggistica) e possono insorgere psicopatologie sociali.

Può spiegarci perché anche l’apprendimento attraverso la Dad è diverso da quello in presenza?

La Dad altera significativamente le possibilità di metabolizzare le opportunità di apprendimento scolastico non trasformandole in esperienza concreta, e la relativa asocialità deprime fortemente le basi neurologiche dell’imparare, processo improntato sulla necessità di imitazione e di rispecchiamento reciproci, tanto tra insegnante e alunni, quanto degli alunni tra loro, con conseguente sostanziale impoverimento delle risorse cognitive.

Dopo un anno di didattica a distanza possono riscontrarsi oggi effetti significativi sul sistema nervoso dei ragazzi?

Alla loro età il cervello è in crescita, e le sinapsi che durante questo periodo si sviluppano rappresentano la “riserva cognitiva” che si ritroveranno come base funzionale in età adulta. Quindi sì, dopo un anno di Dad gli effetti sul sistema nervoso possono essere significativi.

Di quale tipo possono essere?

Le funzioni cognitive dell’attenzione e della memoria, fondamentali nel processo d’acquisizione nozionistica necessaria per conseguire o migliorare l’adattamento ambientale, soffrono degli elementi ridotti e disturbanti della Dad, associandosi anche a una ridotta funzionalità dei neuroni specchio e dei neuroni Gps.

Che ruolo svolgono i neuroni specchio?

Sono gruppi cellulari presenti in due zone cerebrali deputate all’apprendimento, culturale ed emozionale, che si attivano sia quando realizziamo un’azione in prima persona, sia quando vediamo altre persone compierla. Essi generano un senso di connessione automatica, di “empatia”, che è essenziale per qualunque relazione, in particolare quella tra docente e discente.

E i neuroni Gps?

Si tratta di un gruppo di neuroni fondamentali nella memoria autobiografica, permettendo il collegamento tra le esperienze e i luoghi dove le realizziamo, integrandole nella nostra identità. Nella Dad essi non si attivano, causando il rischio per gli studenti di passare giornate ad ascoltare contenuti e informazioni, che dimenticheranno molto in fretta.

Le emozioni che ruolo svolgono nell’apprendimento?

Le emozioni sono funzioni dell’adattamento: nella Dad, la riduzione del contatto con i compagni di classe, esperienza che definisce un adolescente dal punto di vista dell’identità sociale, associata alla privazione del “luogo fisico della classe”, possono causare disorientamento e disagio, riducendo l’efficacia dell’apprendimento anche per il deficit relazionale tra docente e studente privato della comunicazione non verbale.

In sintesi quali sono le maggiori criticità della Dad dal punto di vista neurofisiopatologico?

Possibile insorgenza di deficit dell’apprendimento a lungo termine per sofferenza dei percorsi di acquisizione culturale attentivi e mnesici, asocialità, ridotta empatia, riduzione delle capacità semantico-lessicali, sviluppo di dipendenze, sindromi da discontinuità e/o di Dad-out, simile alla sindrome da burn-out.

A lungo andare, cioè quando i ragazzi di oggi saranno adulti, potranno risentire degli effetti negativi dell’attuale prolungamento della Dad?

Qualunque cambio repentino delle proprie abitudini di vita, se protratto per più di sei mesi, può provocare disturbi di adattamento, ed a questo si aggiunga che il periodo di sviluppo virtuoso delle sinapsi si arresta intorno ai 22 anni: in una Dad così prolungata le noxae succitate si potenziano.

Quali sono i segnali d’allarme nei ragazzi, indicativi che la sofferenza sta diventando eccessiva?

Presenza di disagio psicologico, ansia, stress o depressione, fruizione prolungata della tecnologia digitale anche al termine della Dad, sviluppo di dipendenze (da schermo, cibo, alcool, droghe), segni di regressione psico-evolutiva, riduzione delle relazioni sociali, anedonia.

In un recente articolo del 22 marzo 2021 (“Scuola, ricerca di Lancet sui dati di 7,3 milioni di studenti: stare in classe non spinge la curva della pandemia”) il Corriere cita una ricerca della prestigiosa rivista scientifica The Lancet Regional Health Europe, che incrocia le cifre del Miur, aziende sanitarie e Protezione civile italiani, dimostrando come il tasso di positività tra i ragazzi sia inferiore all’1% dei tamponi. Anche sulla base dei dati epidemiologici, dunque, non c’è ragione per cui le scuole debbano rimanere chiuse. È corretto?

Allo stato attuale, a fronte di motivazioni pseudofantasmatiche prive di conferme epidemiologiche circa la pericolosità di tornare ad una scuola “aperta”, a fronte di un pericolo concreto di incidenza di danni neurobiologici e funzionali a carico degli studenti, non credo che la procrastinazione di tale stato “restrittivo” sia opportuna.

(Manuela Cervi)

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