Caro direttore,
l’istruzione, il percorso educativo, è il più straordinario fattore di crescita per le persone e la società. Il professor Giorgio Vittadini iniziava così un suo intervento sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, dal titolo “Le nuove vie dell’apprendimento”. L’istruzione non rappresenta semplicemente un’azione meccanica, la scuola non è soltanto un insieme di nozioni, educare è un atto di coraggio e di passione e apprendere è un percorso di consapevolezza e crescita.



Questi due anni così difficili per i ragazzi stanno dimostrando questa consapevolezza da parte dei docenti e degli studenti e mai come adesso ci siamo resi conto di quanto importante sia l’istruzione; più in particolare, di quanto la scuola sia un percorso educativo fatto di relazioni, rapporti, luogo in cui discutere, dialogare, confrontarci partendo anche da preoccupazioni, paure o scoperte. Un percorso che richiede di stimolare gli interessi degli studenti anche utilizzando metodologie didattiche nuove: per fare questo i percorsi di istruzione devono dialogare con le realtà che circondano le scuole, compreso il mondo del lavoro e delle professioni.



Lo dice il buonsenso, lo dicono i numeri. La disoccupazione giovanile costantemente sopra il 33%, abbiamo oltre 2 milioni di Neet – coloro che non studiano, né lavorano, né cercano – e che sono usciti proprio dalle nostre scuole. Abbandoni del percorso scolastico e formativo con percentuali migliorate ma sempre alte: 14%, in particolare nel biennio dei professionali, senza dimenticare che il 40% di coloro che si iscrive a percorsi universitari non porterà a termine questa scelta. Numeri e dati che devono interrogare noi adulti e le scelte fatte finora.

Alternanza scuola lavoro, Its, istituti tecnici e professionali, formazione e apprendistato, metodologie didattiche come le “character skills” ma anche lauree professionalizzanti o abilitanti, sono strumenti da migliorare. Aiutano i ragazzi e tante famiglie e la novità del curriculum dello studente darà un supporto a tanti ragazzi nell’orientarsi anche nel mondo del lavoro.



Spero sia giunto il momento anche in Italia di un confronto non ideologico in merito a questi percorsi. L’alternanza, o come si chiama da tre anni Pcto, va fatta e bene. Non è “sfruttamento”, non è lavoro gratuito, non può essere avviamento al lavoro. Deve essere scuola a tutti gli effetti, apre la mente, fa fare esperienze di ciò che si studia in teoria e se fatta così funziona. Conoscenza e competenze; sapere e saper fare possono stare insieme.

Gli Its sono un percorso post diploma non universitario. Stanno dimostrando che quando scuola, ricerca, imprese collaborano i risultati per i ragazzi arrivano e il dato del 90% dei diplomati che trova lavoro ne è la dimostrazione. Nel Pnrr ci sono tante risorse in più, il Parlamento sta lavorando per migliorare la norma degli Its, tutti dobbiamo aiutare questo sistema a diventare grande senza perderne la qualità.

Gli istituti tecnici e soprattutto i professionali hanno bisogno di riforme. Più laboratori e meno materie generiche, in particolare nel biennio. Così com’è fondamentale lavorare su percorsi di formazione e apprendistato. E sulle character skills: l’apertura mentale, la coscienza critica, la collaborazione, l’iniziativa personale, l’affrontare conflitti e ostacoli. Usando buon senso i nostri insegnanti in questi decenni già aiutavano i ragazzi utilizzando questi percorsi. Se è utile, per esempio, perché lasciare il metodo al buon cuore di alcuni e non aiutare i docenti in un percorso formativo su questi strumenti?

Spero che il Paese tutto si mobiliti in questa direzione, abbandonando posizioni ideologiche e lavori per aiutare i ragazzi, le loro vocazioni, la scelta della strada che ognuno di loro vorrà prendere, perché la scuola non è solo un utile insieme di nozioni, ma è anche scoperta di sé.

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