PARIGI – Nello scorso novembre le autorità francesi sono intervenute sul fenomeno dell’harcélement scolastico in Francia. Il 4 ottobre una ragazza di 14 anni si è impiccata perché da due anni era vittima di ingiurie da parte di compagni di scuola.
Questo fatto ha scosso l’opinione pubblica e le autorità pubbliche. Il fenomeno è così diffuso che il presidente della Repubblica, Macron, e il ministro dell’Istruzione pubblica, Blanquer, hanno preso pubblicamente la parola per denunciare la situazione inaccettabile. Il ministro il 1° dicembre ha proposto di istituire un vero e proprio reato “punito da 3 a 10 anni di prigione e con un ammenda da 45mila a 150mila euro” per i ragazzi responsabili di atti di harcélement scolastico. La pena sarebbe impartita in funzione della gravità dei fatti.
È soprattutto un problema che riguarda, in particolare, i ragazzi in età delle medie, cioè dagli 11 ai 14 anni (in Francia le medie inferiori durano 4 anni) e toccherebbe circa il 10% della popolazione scolastica di cui il 54% nelle medie e il 13% nelle superiori ma anche il 23% nelle primarie.
Non si tratta propriamente di atti di bullismo. Non c’è violenza fisica, ma pressioni morali su una persona. Un ragazzo riceve insulti, minacce e ingiurie sui social senza una ragione precisa. Tutto inizia con il far “correre voci” quasi sempre infondate a proposito del comportamento di un ragazzo. Più quest’ultimo cerca di difendersi e più viene attaccato da altri coetanei attraverso frasi sempre più minaccianti e offensive. Si può arrivare anche a diffondere false immagini, a carattere osceno, o incitare al suicidio.
Questo fenomeno è aggravato dal fatto che la vittima non ne parla con nessuno. Ha un sentimento di “vergogna” e perde la fiducia in chiunque. Anche se “innocente”, diventa automaticamente “colpevole” perché messo “sulla piazza pubblica” con accuse infondate ma per il fatto di essere pubblicate diventano provate. In molti casi questa situazione può durare anche degli anni. La vittima si sente sempre più isolata o si isola dal resto del gruppo-classe o all’interno della scuola stessa. L’unica soluzione per la vittima è l’abbandono scolastico o cambiare scuola.
È un fenomeno molto complesso, diffuso e paradossale. Non c’è un’unica causa precisa ma il concentrarsi di vari fattori. Quando si chiede ai ragazzi se sono contro il razzismo, e ogni sorta di discriminazione, la loro risposta è ovvia. Nessuno vuole sentirsi razzista. Tuttavia, non vedono nessun legame e soprattutto non si sentono responsabili quando partecipano a situazioni sopra descritte. Non si accorgono nemmeno che possono diventare, volutamente, dei potenziali harceleurs.
La Dad, durante il periodo di confinamento, ha certo accentuato questo problema sociale perché ha generalizzato nei giovani e soprattutto nelle giovani generazioni il fascino e l’uso dei social come mezzo di comunicazione didattica e personale, molto spesso senza nessun controllo da parte dei genitori. In secondo luogo, c’è una palese mancanza educativa all’uso dei mezzi di comunicazione digitali. Durante la giornata, a scuola, i ragazzi scambiano poche parole tra loro. Raramente affrontano tra loro discussioni “serie”. Aspettano di rientrare a casa per “dialogare”, e passano ore a conversare. Perdendo così ogni riferimento spazio temporale e ogni alterità. Il dialogo si trasforma in una pura reattività istintiva dove la persona non esiste più ma solo ciò che si “pensa” e si scrive.
Infine, l’assenza degli adulti è forse, il fattore più determinante. Nella dinamica qui descritta gli adulti spariscono. Nella testa delle vittime come dei responsabili di tali violenze, gli adulti non esistono. Oltre al pudore della vittima per gli insulti subiti, nessun ragazzo osa pensare di parlarne a un adulto, genitore o insegnante. “A che cosa serve? Tanto cosa ci possono fare?” è la frase che da sola sintetizza la causa profonda del problema e l’impotenza degli adulti.
Tra due anni, ogni istituto scolastico dovrà elaborare un progetto di “lotta” contro questo problema. È sicuramente necessario per combattere questo uso sbagliato dei social e legiferare su questo grave problema sociale. Tuttavia, non basterà punire i colpevoli di tali delitti soprattutto perché parliamo nella quasi totalità dei casi di giovani minori i quali non hanno coscienza delle conseguenze dei loro atti.
Il ruolo della scuola non può accantonarsi a studiare programmi. In questo contesto sociale è necessario far “studiare” il valore della persona e far riflettere le giovani generazioni sulle responsabilità nelle loro decisioni. Senza queste priorità e sguardo, la scuola diventerà un luogo invivibile e perderà la sua missione di trasmettere il sapere che vale per la vita.
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