Il 17 aprile 2020, a poco più di un mese dalla sospensione dell’insegnamento in presenza dovuta alle misure di contenimento della pandemia Covid-19, un gruppo di ricerca dell’Università di Oslo ha tempestivamente pubblicato un rapporto sull’esperienza di insegnamento a distanza nelle università norvegesi in questo periodo. Il rapporto, redatto in lingua inglese, è disponibile online. È un testo solo apparentemente lontano dalle nostre latitudini; al contrario, esso può dire qualcosa a insegnanti di diverso ordine e grado (non solo universitari), gestori di scuola, allievi, famiglie che in Italia, come in altri paesi (e prima che in altri paesi), hanno accettato di lanciarsi nella sfida della didattica a distanza.



La prima cosa importante di questo rapporto è la sua stessa esistenza: i ricercatori si sono impegnati a comprendere un cambiamento in atto, certo non programmato, ma reale e significativo. E ascoltare i protagonisti di un cambiamento, cercando di capire e interrogandosi sulle sfide, è sempre una buona pratica.

Nulla resterà delle tante difficoltà e delle tante opportunità che abbiamo vissuto, se le lasciamo fuggire via nella fretta di ogni giorno, se non giudichiamo quello che stiamo vivendo, valutando problemi e opportunità e facendo tesoro di questa esperienza. A questo proposito, un ulteriore aspetto positivo del testo norvegese è il fatto di aver lasciato spazio non solo a domande descrittive (quali tecnologie sono state usate dai docenti, con quale percentuale di difficoltà o di successo) ma anche alle ragioni per le quali gli insegnanti hanno avuto difficoltà o si sono trovati di fronte a inaspettate esperienze positive.



Tra i risultati di questo rapporto, che parla di “riforma involontaria dell’insegnamento” (solo il 30% degli intervistati aveva insegnato almeno una volta completamente online in precedenza!), spiccano a mio parere alcuni aspetti interessanti.

Anzitutto, nonostante la fatica testimoniata praticamente da tutti, molti insegnanti si sorprendono di aver scoperto spazi di dialogo inaspettati con gli allievi tramite un uso creativo e personale delle tecnologie. Ad essere più fiduciosi rispetto all’apprendimento degli studenti sembrano essere gli insegnanti che hanno scelto anche modalità di insegnamento live e hanno deciso di non limitarsi ai corsi preregistrati, che pure vengono largamente utilizzati: questo ci dice dell’importanza di trovare forme di interazione e dialogo nonostante la distanza fisica.



Inoltre, si è osservata la presenza di una rete di supporto importante tra colleghi (più del 50% degli intervistati ha trovato aiuto in gruppi su Facebook, un altro 33% è stato aiutato direttamente da colleghi vicini): verrebbe da sperare che l’emergenza Covid-19 abbia incrementato la collegialità tra colleghi e la capacità di lavorare insieme, che è un fattore di qualità dell’insegnamento. Come osserva Rosario Mazzeo (La valutazione liberata, 2019), la collegialità “non è un optional, né una questione di temperamento o un laccio burocratico” ma è “uno degli elementi fondanti la funzione del docente”.

Il rapporto di Oslo contiene un tentativo di imparare dall’emergenza in atto che alle scuole italiane converrebbe replicare, aggiungendo però due aspetti importanti.

Il primo: dare più spazio alle buone pratiche (nel rapporto norvegese, gli aspetti positivi sono solo accennati alle pagine 2 e 25). Tutti noi, che ci siamo inaspettatamente trovati coinvolti nella didattica a distanza, abbiamo talvolta riscontrato esperienze positive che non ci aspettavamo; e io stessa ho pensato di tanto in tanto (come, sono sicura, tanti altri) “questa è una bella idea, la voglio tenere anche quando torneremo in classe”. Raccogliere gli aspetti positivi e le ragioni per le quali gli insegnanti li ritengono tali è il primo passo per migliorare la didattica in presenza grazie a quello che è successo in queste settimane.

Bisogna poi riconoscere (e qui vengo al secondo aspetto) che la scuola e l’università non sono fatte solo dai docenti ma anche dagli allievi: un rapporto completo sulla didattica a distanza dovrebbe includere anche la loro esperienza. Mettere in dialogo le valutazioni degli insegnanti con quelle di chi sta “all’altro capo del filo”, sempre corredate delle ragioni dei giudizi positivi e delle difficoltà, potrebbe rivelarci aspetti di discontinuità o disaccordo, sui quali lavorare per migliorare ancora.

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